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Conan, il Barbaro – la recensione

Il regista Marcus Nispel ha riportato in sala Conan, dopo quasi 30 anni dal celeberrimo film del 1982, diretto da John Milius, che lanciò ad Hollywood il Mister Universo Arnold Schwarzenegger.
A cura di Ciro Brandi
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Jason Momoa, Rachel Nichols

Il regista Marcus Nispel – director dei remake di “Non aprite quella porta”, “Venerdì 13” e del flop colossale “Pathfinder” del 2007 – ha riportato in sala Conan, dopo quasi 30 anni dal celeberrimo film del 1982, diretto da John Milius, che lanciò ad Hollywood il Mister Universo Arnold Schwarzenegger.

Il personaggio del barbaro nerboruto, nato dalla penna di Robert Ervin Howard, è senza dubbio l’eroe più conosciuto del genere heroic fantasy. La trasposizione odierna, vede nei panni del protagonista il misterioso e mastodontico Jason Momoa, già interprete del tribale Khal Drogo nella seguitissima serie tv “Game of Thrones”.

Il racconto delle gesta di Conan è, come risaputo, violento e feroce, così Nispel ha dovuto adatttarsi al plot originario, concedendosi di tanto in tanto qualche piccola licenza poetica. Conan nasce mentre la madre, combattendo, viene ferita a morte. Il futuro barbaro per antonomasia cresce sprezzante del pericolo e meditando vendetta. Sul suo cammino e su quello di suo padre (Ron Perlman), s’impone il malefico Khalar Singh (Stephen Lang), alla ricerca di una maschera magica in grado di riportare in vita sua moglie. Per completare l’incantesimo, costui si avvale anche dell’aiuto di sua figlia, Marique (Rose McGowan), una potente strega, al fine di trovare il sangue dell’ultima discendente purosangue di Acheron. Conan, si ritroverà a dover difendere la pura Tamara (Rachel Nichols), sacerdotessa nelle cui vene scorre il sangue miracoloso.

La versione 2011 firmata da Nispel appare sicuramente più moderna, soprattutto nelle scene d’azione, rese assolutamente più fluide, ardite, articolate, anche grazie all’attore protagonista che fisicamente può facilmente reggere – e forse superare – il confronto col suo famoso predecessore. Il paragone era inevitabile, ma possiamo dire che Momoa ha centrato l’obiettivo, dando il meglio di sé in un progetto che era partito già con molte critiche alle spalle, poiché il fatto di riportare in vita un personaggio così emblematico poteva rappresentare una pericolosa arma a doppio taglio.

Invece la tecnica registica adottata è davvero molto buona, priva di tempi morti, aiutata anche dalla fotografia eccellente di Thomas Kloss e da un 3D promosso solo in alcune scene. Buoni gli effetti speciali, anche se non straordinari come ci si aspettava. Il cast è perfetto e, oltre a Momoa, spiccano il grande Ron Perlman e la favolosa Rachel Nichols, mentre alcune falle vanno ricercate nella caratterizzazione dei “cattivi” Stephen Lang e Rose McGowan, personaggi descritti in maniera troppo frettolosa e scialba.

E’ proprio questo forse il difetto principale della pellicola, il fatto di accorgersi, soprattutto all’inizio e verso la fine, di assistere a delle scene montate in fretta e furia, quasi come se il registe avesse una sorta di ansia da prestazione e volesse concludere il tutto al più presto. In questo modo alcune scene sembrano abbozzate e alcuni personaggi non approfonditi o sfruttati al meglio. Un peccato perché vista l’entità del budget – si parla di circa 150 milioni di dollari – il prodotto poteva essere ancora più accattivante.

Non si sa ancora se ci sarà un sequel – anche se lo stesso protagonista ha dichiarato di aver già scritto il sequel…mah! –ma qualora ci fosse, allora ci auguriamo che tutti i difettucci di questo reboot-prequel o qualsiasi cosa sia, vengano eliminati.

Voto: 6

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