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Hunger Games: una propaganda politica contro il potere degna dei suoi incassi

Femminista e anarchico, il terzo capitolo della saga di “Hunger Games – Il canto della rivolta – Parte I” conferma come questa sia molto diversa rispetto agli altri grandi blockbuster.
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A cura di Gabriele Niola
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I blockbuster sono quasi tutti uguali tra loro, le idee nuove o anche solo diverse faticano a farsi strada. Il successo infatti funziona da censura: spinge a marginalizzare ciò che è strano poichè a funzionare di sicuro sono i lidi certi e i luoghi comuni. Non è quindi difficile che i grandi film destinati ad incassi mastodontici, perchè costati cifre mastodontiche, si somiglino tra loro e ricalchino l’uno le idee dell’altro. Per questo motivo è incredibile il successo di Hunger games, blockbuster tra i più commercialmente spietati (fatto e pensato in serie per aumentare a dismisura il ricavo moltiplicando le uscite), che tuttavia si sta facendo portatore di idee e situazioni a dir poco rivoluzionarie per il cinema di massa.

Se si considera infatti il piccolo mondo monotono e ripetitivo dei film ad altissimo budget, quello delle grandi cifre per un grande pubblico, allora qualcosa come quest’avventura femminista condita di un ribellismo realmente anarchico non la si era mai vista. Chi ha letto i libri di Suzanne Collins probabilmente ne era già al corrente ma il pubblico che da oggi andrà a vedere in sala il terzo capitolo della serie, Il canto della rivolta – Parte I (perchè per aumentare ancor di più il profitto hanno diviso l’ultimo libro in due film), si troverà di fronte ad uno dei lungometraggi più politici tra quelli che negli ultimi anni Hollywood ha indirizzato al segmento “giovani adulti” (dai 15 ai 35 anni), e non sono stati pochi!

Apparentemente la storia di Katniss Everdeen ricalca il facile ribellismo di molta fantascienza: nella società del futuro una dittatura affligge la vita delle persone fino a che un individuo decide di rompere gli schemi e, grazie al suo pensiero indipendente, riuscirà a far crollare il sistema. Come sempre sovvertire il potere ingiusto ma all’interno di schemi imposti dall’alto, andare contro i potenti ma assecondando un altro potere. L’industria dell’intrattenimento non incita mai al vero ribellismo ma più che altro allacondanna di quelli che indica come i cattivi, un’agitazione delle folle innocua e controllata in cui i buoni sono una fazione sempre ben identificabile. Invece Hunger games dimostra di avere una protagonista eroica e arrabbiata che non risponde a nessuno, non al sistema e nemmeno a chi gli si oppone, cioè “i ribelli” che qui ci appaiono organizzati e dominatori come il sistema stesso. Costretta ad essere strumento di propaganda (come lo era per il governo nei primi film, quando nelle trasmissioni tv veniva usata per aumentare gli ascolti e placare gli animi) è in realtà animata da un desiderio di indipendenza che non si era mai visto. Nei blockbuster gli eroi sono sempre piazzati all’interno di un gruppo di “buoni”, Katniss invece non sta con nessuno se non con le persone a cui tiene, non ride quasi mai, non è simpatica nè è socievole, è stata sottomessa per una vita e non lo dimentica, non smette mai di rappresentare l’oppressione subita.

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Raramente una ragazza è protagonista di un film d’azione (ma le cose stanno cambiando proprio grazie al successo di Hunger games, l’avevamo già raccontato) e quando capita di solito agisce come un uomo in un mondo di uomini. Invece l’eroina di Suzanne Collins ha problemi da donna, sfrutta strategie da donna (fino ad ora il suo aiutante più determinante è stato un costumista e nella storia a simboleggiare la sua diversità sono trucco, vestiti e acconciatura) e più che menare o far esplodere è costretta a gestire la maniera in cui gli altri vogliono sfruttare la sua immagine, dal pubblico che la vuole vedere ai diversi poteri che desiderano esporre il suo volto e il suo corpo come trofei.

Addirittura in Il canto della rivolta – Parte I, in un impeto di metacinema, la storia mostra la macchina della propaganda dei ribelli in maniera non diversa dal marketing del film stesso. I video “pro-ribellione” che Katniss è obbligata a girare sono montati come i trailer del film, e in coda addirittura hanno il medesimo logo della ghiandaia imitatrice infuocata che si vede nelle locandine e nel materiale promozionale, con tanto di tagline! Nessuno lo dice apertamente ma è evidente che quelle immagini, presentate come puro mezzo di convincimento delle persone o montaggi artificiosi tesi ad accattivarsi gli spettatori, sono realizzate alla stessa maniera della promozione del film che li contiene. Come se non bastasse ad un certo punto Katniss è posta davanti ad una specie di green screen (quei set in cui non c’è nulla proprio perchè tutto sarà aggiunto con effetti speciali) in maniera non diversa da come effettivamente Jennifer Lawrence ha recitato alcune scene. È il cinema che racconta i trucchi del linguaggio audiovisivo e quindi anche i propri, esponendo così la sua natura di falsità.
Quale altro blockbuster osa così tanto? Quale altro è così anarchico?

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