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Veronesi: “‘L’ultima ruota del carro’ ha buone speranze, Zalone permettendo”

Giovanni Veronesi apre il Festival di Roma con “L’ultima ruota del carro”, una commedia che racconta la storia vera di Ernesto e Angela, in un affresco degli ultimi 40 anni di storia italiana.
A cura di Daniela Scotto
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Almeno per adesso, Giovanni Veronesi accantona i Manuali e tenta una strada diversa, quella dell’affresco, per raccontarci gli ultimi quarant’anni di storia italiana attraverso lo sguardo dei cuori semplici Ernesto (Elio Germano) e Angela (Alessandra Mastronardi).

Sempre con il sorriso ma non senza una certa amarezza di fondo, “L’ultima ruota del carro” è il film fuori concorso che apre la settima edizione del Festival del Film di Roma, nel cui cast troviamo anche Ricky Memphis, Alessandro Haber, Virginia Raffaele e Sergio Rubini. Il regista non rinuncia né alla coralità né ai toni da commedia che da sempre caratterizzano il suo cinema, ma stavolta sceglie un’esistenza straordinariamente ordinaria attingendo dalla realtà, quella del suo amico Ernesto Fioretti, protagonista di un percorso di crescita che inizia con l’Italia delle Brigate Rosse e si conclude oggi, nel paese di chi anche oltre la pensione si arrabatta per poter tirare avanti dignitosamente.

Sebbene il tempo e gli eventi siano scanditi principalmente dagli accadimenti politici più clamorosi, come l’ingloriosa fine del PSI e gli albori del berlusconismo, il regista ha vibratamente rifiutato l’etichetta di film politico: “Non c’è critica in quello che racconto, che è semplicemente la verità delle cose vista con gli occhi di un soldato semplice. Anche nel monologo in cui Ricky Memphis racconta che Forza Italia è il nuovo partito in cui c’è il maggior numero di giovanissime non voglio polemizzare. Era la realtà così come veniva recepita allora”. Una realtà che scorre a lato della vita di Ernesto, che più che afferrare le occasioni della vita ne è trascinato a sua insaputa, il cui unico punto fermo è la fedelissima Angelina, una coppia d’altri tempi fondata saldamente sull’onestà. “E’ il primo film in cui i protagonisti non si mettono le corna”, sottolinea Veronesi, che propone un ritratto disarmante di due coscienze naturalmente pure, nella sua produzione off-Filmauro dopo tanto tempo.

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Una storia troppo fuori moda per i botteghini? E’ tutto da vedere, “purché Checco Zalone ci lasci qualche spettatore”, ironizza il regista. Quello che  è certo è che l’Italietta della piccola e media corruzione, dell’aspirazione al posto fisso, dei voltagabbana e delle nuove donne rampanti degli anni ’90 c’è tutta, e ognuno la guardi con gli occhi che vuole. Se non fosse tutto ispirato a una storia vera, la bontà di Ernesto parrebbe inverosimile rispetto alla realtà al di là del suo recinto di ingenuità e buone intenzioni. Persino il mondo dell’arte contemporanea è raccontato con la stessa tranquillità, nella persona del Maestro, un pittore della scuola romana interpretato da Haber e sul set guidato da Mimmo Paladino, che ha partecipato generosamente alla produzione realizzando le opere. Altro featuring di rilievo è quello con Elisa, per la prima volta autrice delle musiche per l’intero film.

Sprazzi di storia, pennellate d’arte e come prevedibile, un’altra intensa interpretazione di Germano, in buon equilibrio con il suo “black mirror” Memphis, che per una volta non è né tonto né poliziotto: per chi cerca ancora il Veronesi di “Che ne sarà di noi” ci sono buone probabilità di ritrovarlo.

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