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“Paisà”, il capolavoro neorealista di Rossellini usciva 70 anni fa

Il 10 dicembre 1946, usciva uno dei film più rappresentativi del neorealismo italiano. Rossellini, attraverso i 6 episodi di “Paisà”, ripercorre uno spaccato della storia del nostro Paese, con tematiche forti come la morte, il caso, l’umanità dello straniero e la riconoscenza delle persone comuni, legate dal fil rouge dell’avanzata degli alleati, da Sud a Nord.
A cura di Ciro Brandi
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Il 10 dicembre 1946, usciva uno dei film più belli e rappresentativi del neorealismo italiano. “Paisà”, secondo lungometraggio della Trilogia della guerra antifascista del grande Roberto Rossellini, attraverso i suoi sei episodi, ci porta in un viaggio che ripercorre uno spaccato della storia italiana, seguendo l’avanzata delle truppe alleate dal Sud fino al Nord. Nel primo episodio (Sicilia), gli angloamericani approdano sull’isola e qui Carmela (Carmela Sazio), una giovane ragazza, si offre di fargli da guida per non farli incappare nei tedeschi. La giovane fa amicizia con uno di loro Joe, che viene però scoperto e ucciso proprio dai tedeschi, che ammazzeranno anche Carmela, gettandola dagli scogli. Gli alleati, una volta scoperto il corpo di Joe, penseranno che sia stata la donna. Nel secondo (Napoli), lo scugnizzo Pasquale (Alfonsino Pasca) ruba le scarpe a Joe, un soldato afro-americano. L’uomo si recherà a casa sua per riprendersele, ma una volta lì capirà lo stato di miserie del piccolo e che ha perso tutta la famiglia a causa dei bombardamenti. Il terzo (Roma) è dedicato alla storia di una prostituta che adesca un soldato americano. Questi le racconta dell’incontro con una ragazza italiana, di nome Francesca (Maria Michi), avvenuto a Roma quando sono sbarcati. La prostituta si renderà conto di essere proprio lei, ma quando cercherà nuovamente il soldato per dirglielo, l’uomo sarà già partito. Nel quarto (Firenze), l’infermiera Harriet (Harriet White) è alla ricerca del pittore Guido Lombardi, entrato poi nelle fila dei partigiani col nome di Lupo, ma l’uomo è morto. Il quinto episodio (Appennino emiliano) vede tre cappellani militari trovare accoglienza in un convento di frati isolati da tutto e tutti, mentre gli alleati fanno i conti con la linea Gotica. Nell’ultimo (Porto Tolle), Partigiani e americani combattono contro i tedeschi, con rappresaglie dei nazi-fascisti anche contro i civili.

“Paisà”, 6 episodi legati dal caso, dalla morte, dall’umanità e riconoscenza

Girato con quasi tutti attori non professionisti (in piccolissimi ruoli, compaiono anche una giovanissima Giulietta Masina e Carlo Pisacane), Rossellini – ad un anno dall’uscita del sensazionale “Roma città aperta” – con “Paisà” torna ad esplorare le inquietudini e le ferite della gente comune durante il secondo conflitto mondiale. Avvalendosi della collaborazione di Sergio Amidei e Federico Fellini per la scrittura della sceneggiatura, il regista compone questo quadro, a prima vista disomogeneo, che ha però come fil rouge l’avanzata delle truppe alleate dal Sud al Nord ed è tenuto insieme anche dalle tematiche del caso, della morte, dell’umanità dimostrata dallo straniero e della riconoscenza delle persone comuni, travolte da eventi molto più grandi di loro. Il regista ci presenta un’Italia fatta di contrasti accecanti, dove la bellezza sconvolgente dei luoghi e dei monumenti ospita tristi carri armati e soldati che parlano la loro incomprensibile lingua (Rossellini inserisce anche i sottotitoli) mentre gli italiani si esprimono nel proprio dialetto, aumentando, così, a dismisura la distanza tra i due popoli. Guerra e vita quotidiana s’intersecano e Rossellini le osserva e le narra con il suo inconfondibile tocco da re neorealista, non cedendo assolutamente ad alcun tipo di trionfalismo, neanche nel finale.

La nomination agli Oscar e gli altri premi

La pellicola ha vinto 3 Nastri d’Argento (Miglior film a soggetto, Miglior regia e Migliore colonna sonora), 2 National Board of Review Awards (Miglior film e Miglior regista) e il New York Film Critics Circle Awards al Miglior film straniero. Nel 1950, “Paisà” è stato candidato anche agli Oscar del 1950 per la Migliore sceneggiatura originale. Vale veramente la pena di recuperarlo perché è come leggere un libro di storia, la nostra storia che, anche se a 70 anni di distanza, è come se facesse parte del nostro DNA e non va mai dimenticata.

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