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Scarlett Johansson, sexy aliena nell’esperimento di Jonathan Glazer

In concorso “Under the Skin” di Jonathan Glazer, che trae spunto dal romanzo omonimo di Michel Faber, di cui non riporta il plot ma solo le suggestioni visive.
A cura di Daniela Scotto
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Dopo zombies, vampiri, maghetti, minions e Capitan Harlock, è la volta di un alieno in arrivo a Venezia 70. Ma che nessuno si spaventi: l’arcana figura ha il volto e le morbide curve di Scarlett Johansson, protagonista di “Under The Skin”, film in concorso diretto da Jonathan Glazer, riduzione dell’omonimo romanzo di Michel Faber, lo scrittore olandese portato al successo da “Il petalo cremisi”.

Il film era stato presentato come un vero adattamento cinematografico dell’opera, nei fatti il regista, proveniente dall’ambiente del videoclip, ha soltanto tratto ispirazione dal romanzo, di cui mantiene le ambientazioni e le atmosfere, scegliendo di non trasporre il plot e di non rivelare quei dettagli utili alla comprensione dell’oscuro personaggio della protagonista. Questa misteriosa ragazza, che non può mangiare, non sente mai freddo e probabilmente, non ha sesso, viaggia a bordo del suo furgone lungo le brumose autostrade nei dintorni di Edimburgo, attraendo con facilità le sue vittime, un bellissimo angelo della morte senza pietà. Cosa fanno lei e il biker a quei malcapitati corpi non è dato sapere nel film, in realtà sono vittime di un esperimento genetico sull’essere umano, che si consuma in una fabbrica dello sterminio tra ammassi di cadaveri e fiumi di sangue, nel romanzo che pagina dopo pagina assume connotati decisamente horror.

Ma Glazer fa della sua aliena, di cui non vediamo tutta la preparazione fisica quotidiana per poter mantenere le sembianze umane, un pretesto per suggerire una vicenda di appartenenza ad un mondo remoto, di alienazione rispetto ad una natura di cui si vorrebbe far parte, ma che invece si rivela il terreno dell’annullamento finale. Il film, va detto, è stato accolto con una certa comprensibile freddezza: risulta difficile senza aver letto il romanzo comprendere quegli spunti, quei riferimenti accennati che motivano le azioni, poche e ripetitive, della Johansson. Quello che resta per uno spettatore inconsapevole è pura immersione, immagini dense ed evocative che rimandano ad un discorso sulla diversità. Quando il bersaglio cade su un giovane affetto da deformità, vediamo che “l’omicidio” non va a buon fine ed il ragazzo viene respinto dall’edificio della morte (salvo poi essere comunque eliminato dal biker, in quanto testimone): questo accade perché per gli esperimenti servono solo gli esemplari migliori della specie umana. Ma tutto ciò è soltanto vagamente intuibile.

La reazione di fronte ad un prodotto come “Under The Skin” somiglia di più a quella che si avrebbe nei confronti di una videoinstallazione, in cui o si sta al gioco e si apprezza un fluttuare di immagini di cui non comprendiamo a pieno il senso, oppure ci si irrita per la mancanza di un filo logico. Difficile che possa ottenere consensi, anche se in questo Concorso la casella di un film sperimentale da un punto di vista visivo e narrativo andava pur occupata.

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