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Si accettano miracoli per Siani, troppo buonismo fa male anche a lui

Dopo i trionfi della sua fiaba contemporanea ritorna al cinema con un film in cui rinuncia ai suoi personaggi cialtroni, sposta tutto in una dolce provincia fuori dal tempo e dimentica un intreccio funzionale alla comicità.
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A cura di Gabriele Niola
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La prima scoperta cinematografica che faremo nel 2015 sarà quanto zucchero, miele e dolcificanti artificiali può sopportare il pubblico di massa del cinema, quello che sicuramente sarà attirato in sala dal nuovo film di Alessandro Siani aspettandosi una favola, come già era Il principe abusivo (che aveva incassato la cifra mastodontica di 14 milioni di euro), e si troverà davanti un camion di melassa. Qualora il pubblico dovesse prendere di buon grado una storia in cui si ride nettamente meno che nel film precedente ma in compenso si indugia per un paio d’ore su un contesto tra i più edulcorati possibili, rimpinzato di dolcezze da una serie di teneri bambini-comprimari vestiti come Le simpatiche canaglie, saremo di fronte ad un nuovo standard che ha alzato la soglia del digeribile.

Tutta la commedia italiana negli ultimi 5 anni sta scoprendo con forza i buonissimi sentimenti, l’ostentazione della gentilezza, del candore e delle migliori intenzioni in film che incassano bene, promuovendo valori positivi e immacolati con pacificanti voci fuoricampo. Anche il pubblico di Natale, solitamente abituato a film duri e scorretti, pieni di personaggi pessimi, quest’anno sta premiando unicamente opere buoniste (meglio di tutti i teneri Aldo, Giovanni e Giacomo, male il retroguardista delle zip incastrate con dolore Massimo Boldi, male i cinici di Ogni maledetto Natale). Alessandro Siani aveva portato ad un altro livello questa tendenza verso il buonismo affidandosi esplicitamente ad un contesto fiabesco (castelli, principesse, amori dichiarati al balcone…) e ora replica con Si accettano miracoli, spostandosi dalla fiaba mittleuropea ad una parabola italianissima, con il buon parroco di provincia custode dei veri valori (rigorosamente lontanissimi dalla tecnologia) e una comunità di brave persone.

Si accettano miracoli non vuole sfruttare la struttura di favole note ma fondare un immaginario “da favola” tutto proprio nella provincia campana, creare un suo regno invece che usare quelli dei Grimm, in cui dar vita al trionfo della ruffianeria (i bambini che aggiustano tutto e ne sanno più dei grandi) più che a quello del sentimentalismo. Purtroppo però la comicità di Alessandro Siani si alimenta di cultura popolare, di imitazione di modelli esistenti, con i quali è riuscito in pochi anni ad affermarsi rendendo comprensibile a tutti (conterranei in primis) la sua visione dei napoletani moderni. Sradicato per proprio volere dal contesto d’origine perde subito di forza. Costretto ad una commedia che non si possa appoggiare eccessivamente sul dialetto o sulla presa in giro di certe categorie umane arranca. Infatti fin dai costumi (curati per creare una dimensione fuori dal tempo più simile ai villaggi del primo novecento che alla modernità) tutto in Si accettano miracoli vuole sganciarsi dall’attualità e dai riferimenti precisi, anche lo spunto iniziale che vede il protagonista licenziato da una grande azienda con sede al Centro direzionale di Napoli (unica immagine cittadina prima di spostarsi negli innocui borghi fuori dal tempo di Scala e Sant’Agata de’ Goti) è presto dimenticato a favore di un’altra trama, quella di una tenera storia d’amore con una fioraia cieca. Storia senza problemi, senza incertezze e senza sofferenze.

Manca quindi un intreccio vero (in Il principe abusivo l’inganno di corte, l’esigenza prima per Siani e poi per De Sica di far innamorare qualcuno di sè fornivano continui spunti per gag), mancano personaggi con un carattere forte (non più una banda di napoletani veraci contrapposti al rigore dei nobili ma una serie di personalità senza tratti distintivi) e soprattutto, cosa ancora più grave, manca Siani. Il comico abdica per molte gag (addirittura a bambini dotati di tempi comici pessimi e sfruttati per ridere della loro tenerezza) e anche quando tocca a lui sembra spento, privo della forza che gli si riconosce nei suoi momenti migliori.

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