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Opinioni

Siamo finalmente pronti a dare un Oscar ad un attore digitale?

Dal Gollum del Signore degli anelli, fino a Ted passando per Benjamin Button, la recitazione mediata dalla tecnologia dei personaggi digitali è espressiva quanto quella dal vivo eppure ancora non la vogliamo premiare.
A cura di Gabriele Niola
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È solo per luddismo o fobia tecnologica che ci ostiniamo a non riconoscerlo ma si tratta di una verità che si palesa di fronte agli occhi di tutti coloro i quali hanno voglia di vederla, quella per la quale gli attori che lavorano attraverso la tecnologia, quelli che interpretano personaggi tramite performance capture e che quindi poi sullo schermo non hanno la loro faccia ma un avatar, hanno raggiunto potenzialità espressive pari a quelle degli attori in carne ed ossa. Cesare di Il pianeta delle scimmie è forse l’esempio più esaltante (tutto un film da protagonista, quest’ultimo Apes revolution, sempre in scena con in carico la parte sentimentale più importante) ma ci sono anche il Gollum di Il signore degli anelli, quello che ha fatto Jim Carrey in A Christmas Carol e poi Brad Pitt che replica se stesso da giovane e da vecchio in Il curioso caso di Benjamin Button, Tom Hanks che fa tutti i ruoli di Polar Express, Sam Rockwell in Avatar e Seth MacFarlane che intepreta il suo Ted con una verve comica perfetta. Ma si potrebbe andare avanti ancora a lungo senza trovare nessuno che abbia visto riconosciute le proprie conquiste con un premio, un’onoreficienza o una menzione.

La domanda è molto semplice: cosa deve succedere per vedere un attore che ha recitato tramite tecnologia digitale concorrere all’Oscar? Solo l’anno scorso tra i nominati figuravano Sandra Bullock, Jonah Hill, Chiwetel Ejiofor, Amy Adams e Bradley Cooper, tutti per parti che non avevano nulla di più di quella di Cesare e possiamo giurare che a Febbraio non saremo stupiti da decisioni innovative dell’Academy. Eppure basterebbe un simbolo, proprio Andy Serkis, colui che ci ha lavorato più di tutti, il più grande in assoluto, capace di trasferire ai diversi avatar cui ha prestato le espressioni le minuzie più incredibili. Solitamente l’obiezione principale che viene portata è che si tratta di una prestazione aiutata dalla tecnologia, frase vera solo in parte e che sarebbe meglio ribaltare, si tratta semmai di un lavoro tecnologico aiutato dalla recitazione.

Chi lo dice infatti spesso ignora il processo tecnico, cioè il fatto che il personaggio digitale (quello che non esiste, che viene “disegnato” al computer) in questi casi è inespressivo di suo, tutti i movimenti, specialmente quelli facciali, vengono dall’attore perchè è proprio di qualcuno che sappia recitare davvero che si ha bisogno, di quelle piccole nuances che rendono un’interpretazione superiore alla media, tutti dettagli che non sono regolabili da un tecnico informatico (fateci caso, i personaggi animati e basta non hanno le sfumature) ma possono nascere solo attraverso la cattura digitale di movimenti veri. Non è molto diverso da recitare molto truccati (eppure Meryl Streep ci ha vinto un Oscar tutta bardata da Margareth Tatcher) o da recitare nei panni di chi non si è (eppure Dustin Hoffman è stato nominato per Tootsie).

Il problema è che quando c’è la tecnologia di mezzo tutto si complica, le menti si offuscano e i cuori si spaventano. Anche senza considerare il procedimento tecnico, basterebbe affidarsi all’impressione e guardare al lavoro fatto sempre da Andy Serkis su Gollum, un personaggio portato avanti lungo 5 film (che a Natale diventano 6) con incredibili mutamenti umani, tecnologici e di trama (ad un certo punto c’è anche lo sdoppiamento di personalità). Chiunque altro avesse tentato un’impresa simile, raggiungendo quel livello di coinvolgimento, sarebbe stato almeno nominato, invece niente. Senza arrivare agli estremi del drago Smaug di Lo Hobbit interpretato da Benedict Cumberbatch (obiettivamente non c’era bisogno di usare il performance capture in quel caso), le molte diverse maniere in cui ad oggi la tecnologia consente agli attori di lavorare in maniere radicalmente diverse da prima sta mutando le forze in gioco. Ray Winstone non avrebbe mai potuto aspirare ad un ruolo da protagonista in un film d’avventura, per evidenti limiti di fisico non avrebbe mai potuto interpretare un uomo forte, un eroe d’azione, eppure l’ha fatto in Beowulf di Robert Zemeckis, ed è straordinario. Quanto ci vorrà per comprendere che si tratta di frontiere della recitazione non solo nuove ma anche più stimolanti delle vecchie che non dimenticano quello che la tradizione e il mestiere ha maturato in millenni d’evoluzione ma lo sfruttano per andare oltre?

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