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“The Unknown Known”, il primo documentario in concorso a Venezia 70

Errol Morris, documentarista premio Oscar in concorso con una lunga intervista a Donald Rumsfeld, segretario della Difesa Usa negli anni cruciali della nostra storia.
A cura di Daniela Scotto
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Il primo dei due documentari in concorso, scelta coraggiosa con cui il direttore Alberto Barbera ha voluto aprire una nuova epoca alla Mostra del Cinema di Venezia, è l’atteso “The Unknown Known”, letteralmente “l’ignoto noto”, opera del regista premio Oscar Errol Morris (The fog of war, 2003). Un’ora e tre quarti di intervista a Donald Rumsfeld, personaggio chiave della storia recente, segretario della difesa degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Ford prima, dal 1975 al 1977, a quella Bush dopo, dal 2001 al 2006.

Quindi stiamo parlando di 11 settembre, Guantanamo, Saddam Hussein, Bin Laden, di armi di distruzione di massa: il titolo fa riferimento proprio a questo, al pretesto più famoso della contemporaneità, quello sulla presenza di un qualcosa che tutti presuppongono ci sia, sebbene ancora non sia stato dimostrato, una di quelle informazioni ignote note. L’intervista inizia molto prima, agli albori della carriera di un Rumsfeld trentenne, che esordiva quando ancora c’era la guerra in Vietnam. Ironia disarmante, sicurezza estrema di sé, assoluta serenità dei toni nelle risposte: non era possibile immaginare diversamente la performance del politico, che sembra già di per sé un personaggio in futuro interpretato da George Clooney.

Ma non si discute della qualità o meno della persona, né tantomeno delle scelte operate, non essendo la platea di una sala cinematografica il tribunale adatto. Se il documentario, genere cinematografico a tutti gli effetti entro il quale si può sperimentare, ricercare, scoprire ed inventare stili tanto quanto il cinema di finzione, doveva sbarcare a Venezia, si ha la sensazione che non fosse proprio questo quello giusto. La confezione è ultraclassica: intervistato su sfondo nero, immagini di repertorio con lettering grafico, time-lapse per occupare i tempi di transizione da un argomento all’altro, intervistatore fuori campo: tutto di gran pregio, considerate anche le musiche di Danny Elfman, ma che nella sua essenzialità rivela la destinazione d’origine, e cioè History Channel o qualsiasi altro canale tematico simile. L’esordio del genere documentaristico in concorso non lascia il segno, restiamo in attesa di “Sacro Gra” di Gianfranco Rosi.

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