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Addio a Blake Edwards: la commedia perde un altro dei suoi mostri sacri

Quando pensavo a Blake Edwards me lo immaginavo così: intento a scolpire il marmo nella casa che fu teatro di uno dei suoi film -That’s…
A cura di Anna Coluccino
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Quando pensavo a Blake Edwards me lo immaginavo così: intento a scolpire il marmo nella casa che fu teatro di uno dei suoi film –That's Life, 1989- in compagnia del secondo e più grande amore della sua vita, l'immensa Julie Andrews . Ed è così che deve essere andata, almeno fino allo scorso 15 dicembre, quando il grande regista si è spento nell'ospedale di Santa Monica in seguito ad un polmonite; aveva 88 anni. Accanto a lui, Julie Andrews, sua moglie dal 1969, leggenda assoluta del cinema per aver vinto tutti i maggiori riconoscimenti del mondo dello spettacolo.

Blake Edwards era figlio d'arte, sebbene di un'arte che è più mestiere e meno paillettes, ovvero il teatro. Comincia la sua carriera come attore e sceneggiatore e nasce fin sa subito la prolifica collaborazione con il musicista Henry Mancini che firmerà le colonne sonore di quasi tutti i suoi film. Edwards raggiunge gli onori della cronaca con il suo sesto film, Operation Petticoat, 1959 (Operazione Sottoveste), fine satira anti-bellica che vede protagonisti due attori simbolo degli anni '50 '60: Cary Grant e Tony Curtis.

Ma il successo planetario arriva con la messa in scena del celeberrimo Breakfast at Tiffany's, 1961 (Colazione da Tiffany), dal romanzo di Truman Capote. Il film apre la strada per l'Hollywood Walk of Fame sia per Blake Edwards che per l'indimenticabile protagonista della pellicola: Audrey Hepburn. Un film divertente, delicato, romantico vecchio stile, soave, la cui scena finale sulle note dell'intramontabile Moon River resta una delle immagini più rappresentative della storia del cinema.

Nel 1963 Edwards rivoluziona letteralmente il genere comico dirigendo e scrivendo il primo capitolo di una saga destinata a fare la storia del cinema, punto di riferimento per decine e decine di comici, e che consacrerà all'imperitura memoria uno dei migliori attori che siano mai apparsi sullo schermo: Peter Sellers. Il film in questione è The Pink Panter (La Pantera Rosa) a cui farà subito seguito l'anno dopo A Shot in the Dark (Uno sparo nel buio) che darà inizio ad una delle epopee umoristiche più fortunate del grande schermo.

Dopo una serie di insuccessi al botteghini, tra cui il capolavoro assoluto Hollywood Party 1968, Edwards arriva ai ferri corti con Hollywood e gli studios, colpevoli di imporre sedicenti regole commerciali che minano il valore artistico dei film. Nel 1973 sia Blake Edwards che Julie Andrews, stanca di essere solo un'icona per famiglie, abbandonano Hollywood per andare a lavorare in Gran Bretagna, patria dell'attrice/cantante/scrittrice. Negli anni che vanno dal 1974 al 1978 Edwards realizza ben tre sequel de La Pantera Rosa, tutti con Peter Sellers. Ma tra i due non corre buon sangue e le riprese sono difficili, il tutto a causa delle velleità da sceneggiatore di Sellers e dell'acrimonia nutrita dal regista nei suoi confronti. Edwards, infatti, non riesce ad accettare che non gli venga riconosciuto il merito d'aver creato il personaggio dell'ispettore Clouseau e che vengano continuamente esaltate solo le qualità attorali di Sellers. Nonostante gli attriti, però, i sequel vengono girati e si rivelano uno straordinario successo di botteghino.

Il successo e la fama consentono ad Edwards di tornare ad Hollywood e di lavorare in maniera più libera. Il 1979 è l'anno di 10, film che reinventa la commedia sexy spingendola oltre il canoni di ciò che al tempo era consentito e che segna l'inizio delle carriere di Bo Derek e Dudley Moore. Ma il ritorno agli studios viene segnato anche da un pellicola vendicativa e grandemente autobiografica: S.O.B (Son Of a Bitch) in cui un produttore hollywoodiano, dopo l'ennesimo fiasco, decide di rigirare il suo ultimo musical per famiglie, interpretato dalla moglie/attrice (non a caso Julie Andrews), trasformandolo in un film pornografico. Il film viene ricordato anche per una scelta di sceneggiatura del tutto inedita all'interno del genere comico: la morte del protagonista. Ma è nel 1982 che esce nelle sale un film che costringerà l'Academy a prendere in considerazione il lavoro di Blake Edwards, smettendo di ignorarlo. Parliamo di Victor Victoria, da molti considerato il suo capolavoro, una pellicola che lo porterà a ricevere la sua unica nomination agli oscar.

Da questo momento in poi Edwards si dedica a pellicole squisitamente intimistiche, che indagano le sue paure come uomo e come artista, la più pregevole delle quali -oltre che la più autobiografica- è That's Life (Così è la vita), un film quasi famigliare considerato l'elevato numero di figli e parenti presenti sul set, in cui il ruolo di alter ego del regista viene affidato all'impareggiabile Jack Lemmeon, mentre a recitare il ruolo di consorte è sempre lei, la musa Julie Andrews.

Nel 2004, finalmente, Hollywood gli tributa un Oscar alla carriera, ammettendo tacitamente di aver, in passato, osteggiato il regista per via del suo spirito polemico ed anticonformista. Dal 1996, comunque, Blake Edwards si ritira dalle scene per dedicarsi ad un'altra grande passione, la scultura. Da allora molte voci si sono rincorse in merito ad un suo possibile ritorno, come ad esempio quella riguardante la richiesta di Pedro Almodovar di realizzare una versione statunitense di Donne sull'orlo di una crisi di nervi che portasse la firma del grande Edwards, ma poi nulla è accaduto. Fino a qualche giorno fa, quando il mondo ha appreso -con sconcerto- d'aver perduto un altro dei suoi più grandi "giullari". Uno dei pochi capaci di far ridere davvero, ridere con gusto, senza ricorrere a bassi espedienti quali la volgarità.

Ancora una volta, tocca dire addio ad un maestro. Sperando che altri ne nascano e che la sua eredità non vada perduta nelle mode affatto durevoli della contemporaneità.

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