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Cannes 2017 contro Netflix, forse solo un modo per animare un’edizione scadente

Tradizione contro innovazione. L’ha definito così Ted Sarandos, il direttore di contenuti della piattaforma di streaming on demand statunitense: l’affaire de Netflix. Una polemica che continua da giorni al Festival di Cannes, ma che ha tutta l’aria di essere solo un pretesto per attirare un po’ di attenzione su un’edizione che risulta facilmente dimenticabile.
A cura di Eva Carducci
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Tutto ha inizio da un aspetto legato alla distribuzione di Okja e The Meyerowitz Stories: saranno disponibili nei prossimi mesi su Netflix senza avere un’effettiva distribuzione in sala in Francia.

La controversia è iniziata qualche giorno prima dell’inizio ufficiale della kermesse francese e ha costretto la direzione del festival a rilasciare un comunicato ufficiale: «Il Festival di Cannes ha chiesto invano a Netflix di accettare che questi due film arrivassero nelle sale cinematografiche francesi, e non solo gli iscritti alla piattaforma di streaming on demand, perché vuole ribadire il suo sostegno alla tradizionale modalità di fruizione del cinema in Francia e nel mondo».

A seguito di queste considerazioni la decisione di adottare questa nuova linea di selezione per le future edizioni: «qualsiasi film che desideri competere in concorso al Festival di Cannes, a partire dall’edizione del 2018, dovrà garantire di avere una distribuzione nei cinema in Francia». Decisione interessante se si considera che molti dei finanziamenti del festival arrivano proprio dagli esercenti francesi.

Pedro Almodovar in difesa della tradizione

In tutto questo marasma generato da un'edizione poco convincente, caratterizzata da interminabili file sotto il sole, a qualsiasi ora, ritardi nell’orario di inizio e conseguenti corse per entrare nella successiva fila, controlli e misure di sicurezza aumentate rispetto al passato, ma con falle di disorganizzazione al primo falso allarme, c’è da chiedersi se questa sterile, e pressoché paleolitica, polemica non serva solo ad attirare un po’ di attenzione su un’edizione che, a quattro giorni dal termine, risulta facilmente dimenticabile.

Il vero tema caldo della settantesima edizione è proprio questa querelle. A riguardo si sono espressi anche il presidente della giuria, Pedro Almodóvar, e lo stesso Will Smith, di opinioni decisamente contrapposte. Per Almodóvar è una question di principio: «personalmente non credo che la Palma d’Oro debba essere assegnata a un film che non arriverà in sala. Questo non vuol dire che io non sia aperto alle opportunità fornite dalle nuove tecnologie, ma fino a quando sarò vivo difenderò la possibilità di poter vedere un film sul grande schermo».

Will Smith e Tilda Swinton a favore di Netflix

Posizione netta anche quella di Will Smith, giurato alla corte di Almodóvar, che recentemente ha girato Bright per l’azienda statunitense e che ha dichiarato che i suoi figli (di 16,18 e 24 anni) vanno al cinema due volte a settimana anche se guardano regolarmente Netflix, questo perché: «uno non esclude l’altro. L’amore che nutrono per la visione di un film su grande schermo è rimasto invariato».  A schierarsi sulla linea dell'innovazione anche Tilda Swinton, protagonista di Okja, uno dei due film in concorso targati Netflix: «il presidente Almodóvar è libero di esprimere la propria opinione, ed è giusto che lo faccia, ma quanti film che vengono presentati ai festival non riescono poi ad ottenere un’effettiva distribuzione in sala?».

Integrazione dei media, la teoria della ‘rimediazione'

In un’epoca in cui ogni contenuto mediale diventa accessibile attraverso i nostri smartphone, Netflix e le piattaforme di streaming on demand ci stanno progressivamente allontanando dalla visione sul grande schermo? La risposta è un secco e sonoro no. Non saranno due film in concorso che non arriveranno in sala a farci cambiare idea, da qui a vent’anni ci saranno ancora sia Netflix che  i cinema, e la gente continuerà a vedere film sul grande schermo.

A tal riguardo, esistono diverse teorie a supporto, compresa quella della “rimediazione” dei sociologi Jay David Bolter e Richard Grusin, applicabile ai media digitali, secondo la quale i nuovi media (ovvero le piattaforme di streaming on demand come Netflix in questo caso) tendono a interagire con i medium a loro antecedenti, come il cinema, in un continuo confronto che porta ad un’evoluzione degli stessi, non a una sostituzione o eliminazione dei precedenti. Nessun divano o smartphone pare potrà toglierci quel brivido che si prova quando la sala diventa buia e lo schermo si illumina, in cui ci si dimentica di tutto, anche delle file interminabili, della mancanza di sonno, e dell'edizione scadente di un festival.

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