Carlo Verdone vince il premio Bresson: “Ha vinto l’umanità dei miei personaggi”
Intervistato da "Il Messaggero", il popolare attore della tv italiana si è lasciato andare, raccontando a 360 gradi tutto di sé: a partire della sua famiglia e le tante soddisfazioni procurate dalla carriera dei suoi figli, passando per il prossimo impegno alla 71ma Mostra del Cinema di Venezia dal 27 agosto al 6 settembre, fino al prestigioso riconoscimento, il premio "Bresson" che gli sarà consegnato proprio nella città lagunare dove avrà luogo la Mostra e la passione per tutto ciò che interessa la farmacologia. Carlo Verdone si è detto pronto per il suo impegno a Venezia nelle vesti di giurato e racconta anche la sua precedente esperienza nello stesso ruolo nel lontano 1994:
Il mio stato d'animo per la Mostra del Cinema? Grande slancio, curiosità e la speranza che i film italiani riescano a stupirmi. Sulla carta le premesse ci sono. Mi auguro di avere argomenti forti per sostenerli. Cercherò di giudicare con la massima obiettività, senza favoritismi patriottici. Grazie alla presenza del cineasta tedesco Philip Groning e della regista austriaca Jessica Hausner, la giuria ha un indirizzo intellettuale. Dal presidente Alexandre Desplat mi aspetto l'elasticità.
In giuria nel '94, con Margherita Buy, che mi affiancava, cercai disperatamente di sostenere "Lamerica" ma il giurato Vargas Llosa, con la sua oratoria micidiale, smontò il film di Amelio. Il presidente David Lynch volle a tutti i costi dare un premio ad Assassini nati che noi giudicavamo troppo violento, diseducativo per i giovani. "Stone è un mio amico, non posso deluderlo" disse. E per imporsi alzò la voce.
"E' stato premiato lo sguardo umano che ho posato sui miei personaggi"
Carlo Verdone racconta il suo stupore per il premio Bresson, fino ad oggi attribuito ai grandi autori dall'Ente dello Spettacolo:
Darmi il premio Bresson dopo Wenders, Zanussi, Dardenne, Loach è un atto di coraggio da parte dell'Ente dello Spettacolo.
Sono il primo a essere stupito e anche un po' intimidito. Dedico il riconoscimento a mio padre Mario, il migliore dei Verdone. Evidentemente è stato premiato lo sguardo umano che ho sempre posato sui miei personaggi, anche i più atroci. È come se li avessi abbracciati. In 37 anni di carriera, non ho messo cinismo né cattiveria nei film.
Il prossimo film affronterà un altro tema sociale di attualità e una categoria umana mai rappresentata al cinema. Sarà una novità assoluta. Avrà un impianto corale e questa volta io toglierò la cravatta: non sarò un personaggio borghese.
Trent'anni fa, ai tempi di Un sacco bello, portavo sullo schermo il gergo di periferia. Poi, con lo stesso entusiasmo e una buona dose di stupore, ho descritto i cambiamenti della società: i padri separati, le incomprensioni familiari, la coppia… Se a 63 anni sono ancora qui lo devo al pubblico, che non ringrazierò mai abbastanza. E ai miei genitori che mi hanno insegnato a guardare il mondo con curiosità e senza pregiudizi.
Carlo Verdone è fiero della sua famiglia e racconta che il cognome così noto è stato per loro un vero fardello:
La mia vita oggi si orienta verso i figli, ai quali sono attaccatissimo. Giulia, 28 anni, lavora nel marketing di una multinazionale e Paolo, 27, ha studiato politica internazionale. Sono davvero bravi, si sono formati all'estero, hanno sgobbato sui libri e sfidato pregiudizi e pettegolezzi: il cognome che portano è pesato come un macigno, altro che privilegi.
"Smettiamola di dire che sono ipocondriaco"
L'attore Carlo Verdone racconta ancora qualche dettaglio della sua nota passione verso il mondo della farmacologia:
Ho la pressione e la glicemia un po' basse, le controllo. Ma per favore smettiamola di dire che sono ipocondriaco. Non ho malattie immaginarie! Sono da sempre un appassionato di medicina e farmacologia e per questa ragione ho ricevuto una laurea onorifica (doloris causa, dico io) dall'università Federico II di Napoli.
Non faccio diagnosi, ci mancherebbe! Mi limito a formulare delle ipotesi e rimando sempre al parere degli specialisti. Ho la massima considerazione dei grandi medici, mi piace imparare da loro. Vado ancora in farmacia a documentarmi, è il mio osservatorio privilegiato. Mi apparto in un angolo dal quale non posso vedere le persone in faccia (mica voglio rubare la privacy, io) e ascolto per ore. La gente comincia con gli acciacchi, chiede le medicine e poi racconta alle disponibilissime dottoresse qualunque cosa: il figlio disoccupato, le buche nel quartiere, la lite di condominio… tutti hanno gli stessi problemi e in giro ci sono tanta solitudine, tic, nevrosi.