Donne senza uomini, avanguardia per tutti
Se si parla di cinema d’avanguardia, mediamente, ci si annoia sulla fiducia. Si pensa a un modo d’intendere la settima arte come compiacimento formale che non ha nulla da spartire col pubblico, specie quello detto grande. E’ giusto perciò che ad affermare e dimostrare il contrario ci pensi proprio Shirin Neshat un’artista contemporanea, fotografa e cineasta digitale molto affermata, che esordisce nel cinema con Donne senza uomini, ritratto di donne, vincendo il Leone d’argento al Festival di Venezia.
Neshat è fedele alla sua idea di arte raccontando la storia di quattro donne che durante il conflitto d’indipendenza della Persia provano a dimenticare la violenza, identificata con il maschio, continuando un percorso fatto di riflessioni sull’identità femminile attraverso la rielaborazione dell’immagine, di solito digitale qui invece filmica, condividendo una sfida già raccolta dal regista Jafar Panahi, recentemente arrestato dal regime. E dove vince la sua sfida è proprio nel comunicare il senso dell’avanguardia, della ricerca sperimentale attraverso storie e linguaggi che parlino a un pubblico più ampio di quello amante della video-arte.
La Persia, l’Iran dei vecchi tempi, le difficoltà, i drammi e le speranze di un gruppo di donne passano dal romanzo di Shahrnush Parsipur alla saturazione di colori operata da Neshat e diventano intensi grazie alla prova delle interpreti (Pegah Feridon, Arita Shahrzad, Shabnam Tolouei, Orsi Tóth) e alle musiche di Ryuichi Sakamoto (Tacchi a spillo di Almodòvar), che danno lustro e spessore al lavoro estetico e politico della regista. Che speriamo tenga il suo sguardo vigile a disposizione anche del pubblico cinematografico, che in Italia potrà ammirarlo da venerdì 12 marzo.
Emanuele Rauco