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Eduardo, 29 anni dopo, chissà che cosa penserebbe di Napoli

Eduardo De Filippo non è più da ventinove anni e ad oggi resta un’assenza/presenza ingombrante per questa città. Sbandierato in maniera scellerata e superficiale nei suoi stereotipi, a Napoli (e all’Italia) manca per una nuova indagine sull’individuo e sul suo rapporto con la società.
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Eduardo non è più da ventinove anni e ad oggi resta un'assenza/presenza ingombrante per questa città. Sbandierato in maniera scellerata e superficiale nei suoi stereotipi, a Napoli (e all'Italia) manca per una nuova indagine sull'individuo e sul suo rapporto con la società.

"Lo sforzo disperato che compie l'uomo nel tentativo di dare alla vita un qualsiasi significato è Teatro", questo appare in un manoscritto di Eduardo De Filippo. A 29 anni dalla scomparsa, la sua a tutt'oggi resta un'assenza/presenza ingombrante per la città di Napoli. Per quant'è vero che ai punti vince di gran lunga la prima sulla seconda, è impossibile non condannare profondamente quella lettura superficiale che la stragrande maggioranza del suo stesso pubblico ancora oggi gli va a dedicare. Ah, scellerati. Nella sua infinita umanità, in quella grandezza che era anche imperfezione Eduardo è diventato popolare a tal punto da essere, al pari delle magliette di Che Guevara, sbandierato ad ogni occasione possibile, tra i cartoni delle pizzerie al fianco di Totò e Sofia (quando tutto va alla grande, c'è pure Troisi con Pino Daniele) e le innumerevoli citazioni dei suoi caratteri. Lo stereotipo, in questa sede, lo consideriamo al pari di un Giacchino, il guardiano della Tenuta Marvizzo, con il quale regolare i conti dopo aver subíto "un terremoto di cazzotti e calci".

Dicevamo dell'assenza di Eduardo, incolmabile nonostante l'enorme lascito, le vhs impresse nella nostra memoria e le odierne rivisitazioni (che sono tante anche in questo momento, dai teatri per il grande pubblico agli spazi per la sperimentazione). Irripetibile per ovvie ragioni, sarebbe meraviglioso sapere che cosa pensasse della sua città dopo quel fujetevenne, che pur viene ascritto a quei giochini da marketing a cui rimandiamo sopra. Ad esempio quale sarebbe stata la sua indagine, il suo lavoro, se avesse vissuto questi trent'anni di rifiuti tossici piantati sotto la terra di Napoli? Avrebbe, ad esempio, spostato l'asse della sua grande indagine da "individuo/famiglia verso società" all'inverso? Sarebbe sceso in piazza il prossimo 16 novembre per "Stop Biocidio" oppure sarebbe rimasto fermo a quella sua storica posizione?

E cosa penserebbe della gestione della città negli ultimi trent'anni? Sarebbe anche lui uno di quelli che non vede di buon occhio l'attuale Sindaco di Napoli? Cosa penserebbe, invece, di Silvio Berlusconi, lui che non ha fatto in tempo a conoscerlo in tutta la sua potenza comunicativa? Come avrebbe reagito alle tante sortite su Napoli del Cavaliere? La città, per questi e tanti altri motivi, avrebbe tanto bisogno di Eduardo in carne ed ossa, non soltanto di un ricordo tirato in ballo in quelle nottate che non passano mai, nelle sempre uguali vigilie di Natale, oppure nei pomeriggi dopo quelle mezz'orette di sonno, davanti al rituale del caffè. Eduardo resta come un grande monumento posto in centro città, diviso tra chi sa perché si trova lì e chi, distratto, crede di sapere. Assenza/presenza.

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