George A. Romero e la sua lezione più importante: “I veri morti viventi siamo noi”
"I veri morti viventi siamo noi". Con questa battuta ad effetto Rick Grimes, lo sceriffo leader del gruppo di sopravvissuti di "The Walking Dead" mette in chiaro le cose ai suoi sodali, in un mondo dove la civiltà non esiste più. L'universo zombie più famoso del momento deve tutto alla lezione autentica di George A. Romero, alle sue parole e alla sua trilogia dei morti viventi. Perché il cinema horror può essere tranquillamente diviso in due punti: il "prima Romero" e il "dopo Romero". Il mondo degli zombie era legato all'oppressione sociale e allo schiavismo: i morti viventi di Haiti, popolazione colonizzata e messa a lavorare con le mansioni più dure. Romero ribalta la prospettiva, politicizza il messaggio e utilizza i morti viventi dapprima come la conseguenza del processo di occidentalizzazione, l'illusione del Sogno Americano, per poi finire a stigmatizzare l'era Reagan.
La trilogia dei morti viventi, cominciata nel 1968 con "La notte dei morti viventi" prosegue dieci anni più tardi con "Zombi" (finanziato da Dario Argento e con le musiche indimenticabili dei Goblin) e si conclude nel 1985 con "Il giorno degli zombi". Nel primo film, gli zombie non sono ancora quelli fisicamente in decomposizione che abbiamo ampiamente conosciuto nel corso degli anni e qui c'è l'allineamento forse più sincero e puro all'idea di Romero. Sono simili a noi, potrebbero quindi essere scambiati per noi al punto che i protagonisti avvertono il pericolo solo con la prima aggressione. Questo svela le carte di un'umanità orientata verso le individualità, verso i propri bisogni, un'ipocrisia svelata con i comportamenti beceri dei sopravvissuti rimasti chiusi in casa. Il concetto di famiglia è fatto a pezzi, letteralmente, quando vediamo una bambina divorare i suoi genitori. L'unico a salvarsi, alla fine di quel film, sarà Ben, un uomo di colore che sarà però ucciso da un colpo di fucile alla testa, scambiato per uno zombie, da una serie di mercenari fascisti intenzionati a fare pulizia.
"Zombi", il film che da un punto di vista commerciale ha reso di più della prima trilogia, sposta la narrazione all'interno di un centro commerciale. È lì che i protagonisti provano a nascondersi dagli zombie, quel contesto e quella location daranno vita ad uno degli scenari che ha maggiormente ispirato e influenzato le opere di genere. Dai videogame alle serie tv, è impossibile non ripensare a "Dawn of the dead" (questo il titolo originale dell'opera) quando si vede una scena ambientata in un ‘mall', il grande centro commerciale. "I morti viventi siamo noi", quelli che hanno definitivamente alzato bandiera bianca al consumismo, quello più sfrenato e insensato, quello degli anni '70. Mentre il tessuto sociale degli americani continua a scollarsi ed infuria il dibattito sul post-Vietnam, una guerra che ha lasciato macerie ancor più profonde nell'anima di chi l'ha combattuta, con il ‘reaganismo' alle porte, Romero eleva gli zombie a veri e propri punitori. E ancora una volta il nemico più grande per l'uomo è l'uomo stesso, in un'apocalisse che viene monitorata costantemente sui media (così parte il film, in uno studio televisivo in cui l'informazione si mischia con la paura di morire da un momento all'altro).
L'America di Ronald Reagan viene messa al centro nel terzo film della trilogia: "Il giorno degli zombi" ("Day of the dead"). Poteva essere il film peggiore della saga di Romero perché le pressioni della produzione verso un film esclusivamente commerciale, erano quasi asfissianti. Il "Maestro" cambia tutto, rinuncia a più di metà del budget e fa il film che vuole: una pellicola violenta e claustrofobica in cui, a differenza dei primi due, vengono date alcune informazioni sull'origine dell'epidemia. Folli esperimenti militari voluti dal governo americano sono scappati di mano e hanno portato al peggio e quello che sembra il luogo più sicuro per scappare a un'epidemia, ovvero una base militare, diventa la trappola in cui si andranno a cacciare i protagonisti.
Romero continuerà il suo lavoro anche nel 2005, nel 2007 e nel 2009 con "La terra dei morti viventi", "Le cronache dei morti viventi" e "L'isola dei sopravvissuti" e, nonostante l'universo zombie sia stato già ampiamente riscoperto e rivisitato su ogni chiave di lettura possibile, da quella trash fine a se stessa alle sue squisite derive agrodolci (come la parodia "Shaun of the Dead" e "Welcome to Zombieland"), Romero riesce ancora una volta a centrare il punto in una società con il digitale alle porte, occupata sempre più da se stessa che dal bisogno collettivo. Con Romero se ne va un grande insegnante di cinema e di estetica, ma anche un uomo che ha saputo raccontare il proprio tempo senza filtro e senza nessuna retorica.