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Helmut Berger confessa: “Ho allungato il pene, ha funzionato e non fa male”

Compagno di Luchino Visconti, che dopo la sua morte tentò anche il suicidio, l’attore austriaco si racconta in un’intervista a Gq nella quale spiega del perché si sia sottoposto ad un intervento chirurgico e rivela come la famiglia Visconti l’abbia completamente estromesso dal testamento.
A cura di A. P.
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Della carriera di Helmut Berger si potrebbe parlare a lungo e forse non basterebbe un libro per riassumere le vicissitudini essenziali di uno degli attori più belli e controversi degli ultimi decenni. La sua relazione con Luchino Visconti, che ne segnò indubbiamente la carriera attoriale, è stato senza dubbio lo spartiacque tra una vita e una carriera probabilmente nella norma e l'incredibile impennata che questa subì, specie dal punto di vista professionale, in virtù del suo sodalizio con il grande regista. In un'intervista rilascia a GQ Berger ha raccontato molti aspetti del suo vivere dissoluto e sprezzante nei confronti delle etichette, le patine, di tutto ciò che  copre l'evidenza. Dice di non aver avuto mai rimpianti e racconta della scelta di sottoporsi alla chirurgia estetica in maniera pesante quando ha capito che quella bellezza che lo aveva sempre contraddistinto, non era più, di fatto, un tratto distintivo: "L'ho fatto perché sentivo di non corrispondere alla mia faccia. Ho fatto l’intervento per allungare il pene e funziona, non è nemmeno doloroso. Prima dell'intervento vivevo in Austria. Sa, in Austria si beveva… Vabbè, prendevo eccitanti, lavoravo 16 ore al giorno, non riuscivo a dormire, serviva qualcosa che mi tirasse su. Solo che tirava su me ma non il mio cazzo". Quella di Berger è soprattutto una storia tagliata a metà, una vita che ricomincia dopo la scomparsa del compagno regista quando lui aveva poco meno di 40 anni, quando fu completamente estromesso, come racconta lui, dalla famiglia Visconti, a detta sua per avidità:

Ho vissuto a Roma, con Luchino, ma quando lui è morto sono stato derubato del suo testamento. È stata la famiglia Visconti: io sapevo che quel testamento c’era, il segretario l’ha visto e io l’ho letto. Invece è sparito. Luchino mi aveva detto che non avrei dovuto mai preoccuparmi nella mia vita, perché in questo lavoro non si sa mai quello che può succedere. Invece quei mascalzoni mi hanno derubato. Mi hanno tolto i quadri che erano nella casa di via Salaria e nella villa a Ischia… Non mi hanno restituito nemmeno le mie calze, comprate con Luchino a Milano, da Truzzi

Da lì sono cominciati quei problemi, il senso di solitudine, che l'hanno pian piano, o probabilmente con velocità, a tentare anche il suicidio: "Io “ho fatto” il suicidio. Perché non sapevo che fare, dove andare, mi sentivo solo. Mi è mancata la terra sotto i piedi, non avevo più una lira… Sono dovuto tornare da mia mamma, in Austria. Nell’ambiente del cinema sono tutti falsi. Dopo la morte di Visconti tutto il mondo mi ha fatto le condoglianze tranne i grandi amici di Luchino, come Adriana Asti o Umberto Orsini. Persone che invitavo sempre a mangiare con noi e che invece mi hanno tradito. Sono venuti nella nostra villa a Ischia, hanno goduto della mia bontà, mentre alle mie spalle la Asti portava altri omosessuali (l’ultimo era un polacco) per buttare fuori me…"

Oggi le cose vanno decisamente meglio, Berger lavora come attore, è divenuto uno dei volti di Dinasty ed ha anche ottenuto ruoli da protagonista in alcuni film negli ultimi anni. Ma delle sue uscite pubbliche estreme, spesso finite sui giornali, parla con la convinzione di chi non abbia motivato di pentirsi di qualcosa: "Mai sentito in imbarazzo. Io lavoro per i paparazzi: hanno famiglia, e se non fanno foto scandalose i loro bambini non mangiano, allora tiro fuori il cazzo volentieri e piscio sul poliziotto, lo faccio per loro. Sono anche stato in prigione: sa, a Roma dicono che se non sei mai stato in prigione non sei romano". E alla fine, traccia una sintesi della liaison con Visconti, quando gli viene chiesto se quell'incontro non sia stato la sua fortuna come la sua sfortuna:

No, solo fortuna. Se non ci fosse stato lui, mi avrebbe beccato Pasolini alla stazione Termini e sarei finito a Ostia o a Fregene. Avrei potuto finire addirittura con Zeffirelli… Per carità! Sono più un tipo da Elizabeth Taylor o Faye Dunaway, io

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