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Il Festival di Berlino e l’Italia: cronaca di una storia d’amore finita male

Quanti Orsi d’Oro ha vinto il nostro cinema? Quali sono stati i registi e gli attori italiani più amati della Berlinale? Ecco la cronaca della storia d’amore tra l’Italia e il Festival di Berlino.
A cura di Anna Coluccino
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Berlin-Festival

Il Festival Internazionale del cinema di Berlino ha una storia antica e gloriosa. Grazie ad una media di 274.000 biglietti venduti e 487.000 presenze, quello di Berlino viene giustamente considerato il "festival della gente", il meno infiocchettato, quello senza fronzoli, senza abuso di termini come chermesse e red carpet, senza sterili commenti sugli abiti delle varie attrici, sulle pettinature troppo ardite, sui pettegolezzi da set e compagnia cantando. Il festival di Berlino è puro cinema, pura passione per la settima arte. Si tratta dell'evento cinematografico più frequentato al mondo perché è quello più attento alla reale partecipazione dei cittadini.

Nel corso degli anni, il festival di Berlino si è fregiato del merito d'aver premiato dei film che, poi, si sono rivelati capolavori assoluti della cinematografia mondiale come "Il Posto delle Fragole" di Igmar Bergman (alla cui opera la Berlinale 2011 dedicherà un'approfondita ed appassionata retrospettiva) o come "La Notte" del nostro Michelangelo Antonioni. In queste sessantuno edizioni del festival, però, la giuria ha saputo dare ampio risalto anche a film che si sono rivelati dei successi commerciali oltre che di critica, parliamo, ad esempio, di "Rain Man" di Barry Levinson (Orso d'oro 1989) o del film culto "Magnolia" di Paul Thomas Anderson (Orso d'Oro 2000).

magnolia

La prima edizione della Berlinale, fondata da Alfred Bauer e diretta da lui stesso fino al 1977, ebbe luogo esattamente sessant'anni fa, nel febbraio del 1951, in seguito al desiderio espresso dagli alleati di fare del festival una "vetrina del mondo libero". Il film di apertura di quell'anno fu "Rebecca la prima moglie" di Alfred Hitchcock, una delle pellicole più applaudite dell'indiscusso maestro della suspense, degna madrina del radioso futuro che attendeva questo sacro evento cinematografico. Il massimo riconoscimento del festival è l'Orso d'Oro (l'orso è il simbolo di Berlino, così come il leone lo è di Venezia) e viene assegnato al film risultato vincitore della competizione, mentre il Gran Premio della Giuria viene assegnato alla pellicola più meritevole dal punto di vista della critica cinematografica. Alle eccellenze di ciascuna categoria (regia, attore, attrice, colonna sonora) viene consegnato l'Orso d'Argento.

rebecca-la-prima-moglie

Purtroppo, il Festival di Berlino 2011 non vedrà la partecipazione di nessuna pellicola italiana in concorso, eppure la storia d'amore tra l'Italia e la Berlinale ha avuto momenti di pura estasi. Se consideriamo le dodici edizioni che intercorrono tra 1961 e il 1972, scopriamo che al cinema del Bel Paese furono assegnati ben quattro Orsi d'Oro -"La Notte" di Michelangelo Antonioni (1961), "Il Diavolo" di Gian Luigi Polidoro (1963), "Il giardino dei Finzi Contini" di Vittorio de Sica (1971), "I racconti di Canterbury" di Pier Paolo Pasolini (1972)- due  Gran Premi della Giuria -"Come l'amore" di Enzo Muzzi (1968), "Il Decameron" di Pier Paolo Pasolini (1971)- un Orso d'Argento alla miglior regia – Francesco Rosi per "Salvatore Giuliani (1962)- ed uno al miglior attore – Alberto Sordi per "Detenuto in attesa di giudizio" di Nanni Loy (1972): otto premi in dodici anni.

i racconti di canterbury

Ebbene sì, c'è stato un tempo in cui Berlino amava i film italiani, ma quest'amore si è ormai arrugginito. L'ultimo riconoscimento che il nostro cinema ricordi, senza contare i premi alla carriera, risale al 2004, quando la Banda Osiris conquistò l'Orso d'Argento alla miglior colonna sonora per il film "Primo Amore" di Matteo Garrone. L'ultimo Orso d'Oro italiano risale addirittura al 1991, quando Marco Ferreri, regista molto amato dalla Berlinale e premiato anche con un Gran Premio della Giuria nel 1980 per "Chiedo Asilo", conquistò il cuore dei giurati con lo splendido "La casa del sorriso". Il 1991 fu l'ultimo anno di grazia della relazione cinematografica tra Italia e Germania, in quello stesso anno -infatti- ci fu il trionfo di un altro italiano: Ricky Tognazzi, premiato come miglior regista per l'indimenticabile, durissimo "Ultrà". Da allora, più niente. Se non fosse per la succitata Banda Osiris e per gli Orsi d'Argento alla carriera assegnati a Sofia Loren (1994), Claudia Cardinale (2002) e Francesco Rosi (2008) l'Italia sarebbe del tutto scomparsa dalla premiazioni del Festival di Berlino.

la casa del sorriso

Ma se si scorre la storia del festival si scopre, ad esempio, che il compianto e amatissimo Mario Monicelli è stato il regista più premiato con l'Orso d'Argento alla regia  -"Padri e Figli" (1957), "Caro Michele" (1976) e "Il Marchese del Grillo" (1982). Oltre a Monicelli, gli unici italiani a vincere il premio per la miglior regia sono stati i succitati Rosi e Tognazzi ed Ettore Scola per il film  "Ballando Ballando". Per quanto riguarda il Gran Premio della Giuria, l'ultimo film italiano ad aggiudicarselo è stato "La messa è finita" di Nanni Moretti (1986). Se, invece, proviamo a dare uno sguardo alle premiazioni riguardanti il campo attorale scopriamo che, sebbene gli attori statunitensi siano decisamente i più amati del festival, sono stati cinque gli interpreti italiani capaci di conquistare il pubblico berlinese. Oltre al succitato Sordi, ricordiamo: Michele Placido per "Ernesto" di Salvatore Samperi (1979), Gian Maria Volonté per "Il caso Moro" di Giuseppe Ferrara (1987), Elsa Martinelli per "Donatella" di Mario Monicelli (1956) e Anna Magnai per "Selvaggio è il vento" di George Cukor.

la messa è finita

Insomma, per utilizzare una metafora cinematografica, la storia d'amore tra la Berlinale e l'Italia sa tanto di C'eravamo tanto amati, di qualcosa che, un tempo, ha saputo regalare enormi gioie ma che, da molti anni a questa parte, riserva solo amare e cocenti delusioni. Sono vent'anni che i nostri film non conquistano più la giuria della Berlinale, e sono vent'anni che l'Italia porta a casa soltanto premi onorifici. È il nostro cinema ad essersi abbrutito o sono, semplicemente, i gusti dei giurati a non collimare più con la nostra tradizione? La verità, stavolta, non sta nel mezzo. La responsabilità del poco interesse suscitato dalle pellicole del Bel Paese va, soprattutto, a produttori pavidi ed inetti, incapaci di rischiare, affatto desiderosi di scommettere sull'innovazione e sulle giovani promesse; va a tutte quelle case di produzione che si ostinano a non voler concedere fiducia ai cineasti più audaci, timorose come sono del fatto che il pubblico italiano non sia pronto. Qualcuno dovrebbe spiegare a questi produttori che il "pubblico italiano" non esiste più. Con l'esplosione della rete e la diffusione mondiale di prodotto culturali made in USA, il mondo si fa sempre più paese e, ormai, le differenze culturali (almeno in occidente) sono pressoché inesistenti. Il "pubblico italiano" è pronto come qualsiasi altro a prodotti che sanno stupire, ferire, offendere, stimolare il pensiero critico. La gente non ha sempre bisogno di ridere sguaiatamente al suono dei rumori intestinali del comico di turno o alla visione del solito menage à trois finito male. Solo gli idioti ridono di continuo. Ogni tanto, alla gente, piace anche pensare e magari, perché no, tornare a casa con la consolante sensazione d'aver imparato qualcosa.

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