L’assassinio di JFK: quei dettagli mai raccontati in “Parkland”
A quasi 50 anni dall’accaduto, dopo che il corso della storia è cambiato ed è cambiato ancora, dopo “JFK” di Oliver Stone e tantissimi altri film sull’argomento, si torna a parlare dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy nel film in concorso a Venezia 70, “Parkland”, scritto e diretto da Peter Landesman. Nessuna tesi, nessuna opinione, soltanto fatti raccontati ad un ritmo serratissimo e da un punto di vista neutrale, il film descrive nel dettaglio cosa è accaduto da quando il presidente Kennedy è stato sparato, condotto nell’ospedale di Dallas, per l’appunto, il Parkland, fino alla scoperta ed immediato assassinio del suo carnefice, Lee Harvey Oswald.
Giorni di fuoco in cui le vite di tante persone, i cui occhi sono i nostri per conoscere dettagli inediti di una vicenda ultranota, vengono sconvolte per sempre: dallo specializzando (Zac Efron) che si ritrova in sala operatoria prima il presidente, poi il suo omicida, dal giovane agente dei servizi segreti (Tom Welling) costretto ad ammettere un primo, enorme fallimento, Abraham Zapruder, l’autore del celeberrimo filmato che immortalò meglio di altri quel momento e quel mondo di individui trovatisi a fronteggiare uno degli eventi che più di tutti ha sconvolto l’America, segnandone per sempre la coscienza politica e civile. “Sono un giornalista, sono stato reporter di guerra in Kosovo, in Iraq, ma ho capito che il cinema è il miglior modo in assoluto per raccontare i fatti” spiega il regista, illuminandoci sul perché di un taglio tanto singolare. “Il mito intorno a John Kennedy è conosciuto da tutti, sebbene avesse iniziato la guerra in Vietnam, non sappiamo come ne sarebbe uscito, cosa avrebbe provato a fare, ma è stato proprio la sua morte a fare di lui un santo. Io non volevo raccontare la mitologia, è stato già fatto e anche sotto forma di opere d’arte come il film di Oliver Stone. Io volevo conoscere a fondo i volti di chi ha vissuto quei momenti, per questo ho utilizzato quasi sempre telecamere a spalla, immortalando gli attori in primissimo piano”.
Del film infatti colpiscono gli scambi di sguardi, attoniti, sconvolti di fronte alla Storia che improvvisamente si era palesata nella sua violenza in quella che sembrava una giornata come un’altra. “Pensiamo ad Abraham Zapruder: chi non conosce il suo filmato? Ma nessuno sapeva che avrebbe cambiato per sempre la sua vita, provocandogli uno shock dal quale non si è mai ripreso. La sua storia era interessante perché Zapruder (interpretato da Paul Giamatti), da ebreo in Texas, la cui famiglia è stata in parte sterminata nei campi di concentramento, rappresentava il sogno americano di colui che era riuscito a costruirsi una vita. Ma anche il sogno americano fa parte del mito, a me interessava la realtà”. Non per questo il film ha un tono documentaristico: i criteri della fiction, la strategia della suspense, c’è tutta, come nella scelta di non mostrare mai il cadavere di Kennedy, ma soltanto il sangue di cui in così tanti si erano sporcati, fino al pezzo di cranio rimasto tra le mani di Jackie: “come nei film horror, il mostro fa paura finché non lo vedi. Quella morte ha trascinato l’America fuori dall’innocenza, dal secondo dopoguerra, ha chiuso un’epoca e ne ha iniziata un’altra. Forse suo fratello sarebbe stato un presidente migliore, ma non potremmo mai saperlo”.
Nel cast anche Tom Welling, che per tanti anni ha dato il volto al giovane Superman nella seguitissima serie tv “Smallville”: “Non ho nessuna ansia di separarmi dal telefilm, però avevo voglia di crescere, di fare qualcosa di più importante. Quando ho letto la sceneggiatura sarei stato disposto anche a portare i caffè sul set pur di farne parte. Il mio personaggio, come tanti altri nel film, crede fermamente nel suo lavoro e cerca di svolgerlo al meglio”. Ma “Parkland” non tratteggia né eroi né colpevoli: sulle motivazioni di Oswald, il colpevole, neanche si discute, piuttosto l’indegnità morale della madre, interpretata dalla “solita” strepitosa Jacki Weaver, è una teoria sufficiente a narrare un allenamento al male probabilmente fin dalla nascita. La sequenza del film che più colpisce riguarda proprio la famiglia Oswald, costretta a vagare per con il feretro del figlio in cerca di un’ospitalità presso un cimitero. Un film-documento, ma non soltanto per i dettagli finora sconosciuti, ma per il racconto delle emozioni più profonde di alcuni involontari protagonisti della Storia.