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L’erede – la recensione

Un povero malcapitato, una splendida villa sperduta tra gli Appennini e dei vicini machiavellici sono gli elementi principali dell’opera prima di Michael Zampino. Chi avrà la meglio?
A cura di Ciro Brandi
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Presentazione del film L'erede

Il regista esordiente, italo-francese, Michael Zampino firma questa sorta di thriller psicologico all’italiana molto particolare, ma non proprio convincente.

Il protagonista è il radiologo milanese Bruno (Alessandro Roja, visto in “Romanzo Criminale – La serie”), il quale, dopo la morte di suo padre, eredita una splendida villa sperduta tra gli Appennini. Bruno non ha alcuna voglia di andarci, ma accompagnato dala fidanzata, decide di fare un sopralluogo. Una volta lì scopre che si tratta di una magione veramente soprendente e decide di avviare i lavori di ristrutturazione, per poi rivenderla. Il tutto si complica quando il giovane conosce i vicini, la famiglia Santuci – composta da mamma Paola (Guia Jelo) e i suoi due figli, Giovanni (Davide Lorino) e Angela (Tresy Taddei) – amici e confidenti di suo padre, i quali vogliono impossessarsi ad ogni costo della casa e vendicarsi dei torti subiti negli anni.

Il regista Michael Zampino, formatosi alla New York University, è noto soprattutto come sceneggiatore e autore di cortometraggi, per i quali ha vinto diversi premi in svariati festival. Nel 2005 ha fondato la sua casa di produzione, “Panoramic Film”, e oggi, dopo tre anni di lavoro, è arrivato nelle nostre sale “L’erede”. Lo spunto per questa pellicola è stato fornito a Zampino da un fatto realmente accaduto, dato che egli stesso ha ereditato una villa dal padre di cui non era a conoscenza. Tuttavia il film ci fa ripiombare, forse involontariamente, in quel mondo del cinema “di genere” che andava tanto di moda tra la fine degli anni ’60 e ’80. La pellicola è stata girata con poco più di 700.000 euro e in un mese e mezzo, il che è apprezzabile, ma non giustifica il fatto che sia abbozzata, senza ritmo e priva di qualsiasi coinvolgimento. Il senso d’inquietudine, l’ansia, la paura in alcune scene, dei protagonisti, è appena percepibile e la scelta della location, come impalcatura che potesse mantenere in piedi l’intero progetto, finisce per crollare sotto i colpi di una fotografia inesistente. La sceneggiatura ha improvvisi alti e bassi, fatta di dialoghi che non sono il massimo, e lungaggini che appesantiscono l’intero plot.

Zampino ha affermato che prima di girare “L’Erede” ha rivisto tanti thriller, soprattutto di Kubrick e Hitchcock, ammirando la loro capacità di mescolare ironia a temi più importanti e profondi, quali il male, la meschinità, la perdita dei valori, l’egoismo umano. Ma a cosa è servito? I personaggi, così come la storia e la location, sono assolutamente elementi anonimi, privi di anima, spessore o quant’altro, e viene da chiedersi qual è il vero senso dell’opera. Voi l’avete capito?

Voto: 4

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