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L’appello di Ferzan Ozpetek alle istituzioni: “Il 20 febbraio diventi la festa dei camici bianchi”

Ferzan Ozpetek ha rivolto un appello alle istituzioni. Il regista ha proposto di celebrare la Festa nazionale dei camici bianchi il 20 febbraio. Istituire una giornata dedicata al sacrificio del personale sanitario, permetterebbe alle generazioni future di conoscere quanto “medici, infermieri, portantini” si stiano prodigando per aiutare i cittadini nella morsa del Coronavirus.
A cura di Daniela Seclì
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Ferzan Ozpetek ha rivolto un appello alle istituzioni: Una festa nazionale dedicata ai camici bianchi, da celebrarsi il 20 febbraio. Il regista ha parlato di questa iniziativa nella trasmissione ‘L'aria che tira' e su Repubblica. Stabilire una festa dedicata a tutto il personale sanitario, permetterebbe agli italiani di non dimenticare mai il sacrificio che uomini e donne stanno facendo per strappare i cittadini alla morsa del Coronavirus.

Perché ha scelto la data del 20 febbraio

La data scelta non è casuale. Ferzan Ozpetek ha rintracciato nel 20 febbraio, il momento simbolico a cui fare risalire l'inizio della lunga emergenza Coronavirus: "Penso che la data migliore sia il 20 febbraio, il giorno in cui l’anestesista dell’ospedale di Codogno, Annalisa Malara, ha scoperto che Mattia, il 38enne ‘paziente 1', era stato attaccato dal Coronavirus". Quindi ha aggiunto che sarebbe felice se le istituzioni e i medi raccogliessero il suo appello.

Come è nata l'idea di una festa nazionale per i camici bianchi

Due amici medici del regista hanno lasciato Roma per raggiungere il Nord e dare una mano ai loro colleghi. Quando ha avuto modo di risentirli, gli hanno chiesto di prestare attenzione perché il Coronavirus non era affatto una semplice influenza. Ozpetek ha percepito in particolare l'angoscia di uno di loro: "Era l’otto marzo. La sua voce tremava, era molto angosciato e mi ha detto: davanti a me ho visto un ragazzo che stava soffocando, non è una malattia solo degli anziani, come dicono, questa malattia è un alieno che non conosciamo". Con il passare dei giorni e l'aggravarsi della situazione, Ozpetek ha ritenuto necessario trovare un modo perché il dramma non venga mai dimenticato:

"Oggi siamo arrivati a 105 medici che se ne sono andati. Ho pensato tra quindici, venti anni, per ricordare questi giorni anche a livello mondiale dobbiamo creare una celebrazione, come l’otto marzo: La festa dei camici bianchi che sono tutti, medici, infermieri, portantini, tutti. Vorrei che tra dieci anni il figlio di un mio amico, un bambino mi chiedesse ‘cosa è questa festa?' e noi racconteremo di queste giornate che abbiamo passato. Spero di poterlo raccontare, non sappiamo quel che succede domani, ho sessant’anni”.

L'amore per l'Italia e il rifiuto di tornare in Turchia

Quando ancora il virus non si era manifestato in Turchia, alcuni parenti e amici di Ferzan Ozpetek che vivono lì, gli hanno chiesto di raggiungerli per essere al sicuro. Il regista, però, non ha voluto saperne di lasciare l'Italia: "Rispondevo irritato, qui c’è casa mia, io vivo qui e non abbandono la mia casa e il mio paese per fuggire. Allora l’epidemia sembrava solo italiana e cinese, invece poi si è diffusa anche in Turchia”. Ozpetek ama profondamente l'Italia:

"Io in questo periodo sono molto patriottico in modo strano, da 43 anni vivo in Italia, ho scelto di vivere qui, nel DNA di questo popolo ci sono i geni di Michelangelo e Leonardo, Marconi. Sono tutti figli di questa terra. Forse è la chiusura di 43 giorni in casa mi amplifica i sentimenti, ho un senso di patria molto forte e sono molto arrabbiato dall’atteggiamento di chiusura dell’Europa”.

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