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“Le vie del Signore sono finite”: il cult di Massimo Troisi usciva 30 anni fa

Il 23 dicembre 1987, sbarcava nei cinema italiani il capolavoro più maturo e completo di Massimo Troisi. Lasciando come base il romanticismo condito dalla sua inimitabile verve e capacità recitativa, il film affronta temi importanti come l’influenza del fascismo, la malattia e la psicoanalisi e l’importanza/impossibilità della comunicazione. Da (ri)vedere infinite volte.
A cura di Ciro Brandi
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Esattamente 30 anni fa, il 23 dicembre 1987, usciva in Italia “Le vie del Signore sono finite”, capolavoro del grandissimo e compianto Massimo Troisi. Il regista e attore napoletano ci porta negli anni ’20, proprio all'inizio del fascismo e racconta la storia del barbiere dell’immaginaria cittadina di Acquasalubre, Camillo (Troisi), colpito da una paralisi psicosomatica alle gambe conseguente alla rottura del rapporto con la sua fidanzata, Vittoria (Jo Champa). Ad accudirlo ci sono il fratello Leone (Marco Messeri) e  l' amico paralitico Orlando (Massimo Bonetti), conosciuto a Lourdes. Quando Camillo viene a sapere che Vittoria ha rotto con il suo nuovo fidanzato francese, Bernard, Camillo riacquista l’uso delle gambe, ma un’amica della donna, Anita (Carola Stagnaro), lo denuncia per aver insultato Mussolini ed in seguito arrestato. Vittoria lascia si trasferisce a Parigi, e in carcere Camillo si riammala di nuovo. Grazie all'amico Orlando (anche lui, tra l’altro, innamorato di Vittoria) diventato un pezzo grosso del Partito fascista, Camillo esce di prigione ma viene a sapere che suo fratello Leone gli ha nascosto tutte le lettere che Vittoria gli aveva spedito dalla Francia. Sconvolto, decide di correre da lei.

Il mix perfetto di dramma e commedia

Dopo “Ricomincio da tre”(1981), “Morto Troisi, viva Troisi!”(1982) e “Non ci resta che piangere”(1984), Troisi decise di cambiare rotta con “Le vie del Signore sono finite”. Mescolando il genere drammatico a quello della commedia, l’artista napoletano mantiene sempre, almeno inizialmente, la sua abituale e meravigliosa maschera dell’uomo impacciato e romantico, con i suoi famosi monologhi, ma stavolta riesce a trovare la forza per uscire dal suo guscio e ad imporre le sue idee e la sua volontà, in un contesto storico delicato e totalmente diverso da quello dei film precedenti.

Il fascismo, la malattia e l’incomunicabilità senza retorica

Il romanticismo è l’impalcatura costante dei film di Troisi, retta dalla sua inimitabile e indimenticabile verve napoletana, ma con “Le vie del Signore sono finite”, sembra arrivare ad un gradino superiore, parlando di argomenti importanti come l’influenza del fascismo, la malattia e la psicoanalisi e l’incomunicabilità. Troisi lo fa senza mai cadere nella trappola della retorica o della banalità, rifacendosi anche ai racconti di suo nonno, fervente oppositore del fascismo, e di suo padre, che invece si rassegnò al regime. Poco gli importava se la vena drammatica avrebbe superato quella comica perchè, all’epoca, Troisi raggiunse la consapevolezza di non voler far ridere per forza e di essere arrivato a padroneggiare meglio lo strumento registico.

Le canzoni di Pino Daniele e i premi vinti da Troisi

Come già accaduto in “Ricomincio da tre”, anche stavolta Pino Daniele è l’autore della colonna sonora che contiene i fantastici pezzi “Qualcosa arriverà”, “Promenade”, “Nustalgia”,Chez moi”, che incorniciano alla perfezione i diversi momenti della pellicola, arrivata ad incassare circa 9.6 miliardi di vecchie lire. L’attore Marco Messeri, nei panni di Leone, riuscì a portare a casa il Ciak d'Oro come Migliore attore non protagonista mentre Troisi fu premiato con il Nastro d'argento alla Migliore sceneggiatura, scritta in collaborazione con Anna Pavignano.

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