Massimo Troisi, indimenticabile narratore di vita
“Non so cosa teneva dint’ a capa, intelligente generoso e scaltro. Per lui non vale il detto che è del Papa: morto un Troisi non se ne fa un altro”, non potrebbero esserci parole migliori di queste, tratte dalle prime righe della poesia “A Troisi” scritta da Roberto Benigni, per ricordare il grande Massimo Troisi, scomparso prematuramente a soli 41 anni, a causa di un infarto, ormai 17 anni orsono. Nato a San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli, il 19 febbraio 1953, già durante i suoi studi da Geometra il suo scalpitante istinto artistico lo porta a scrivere poesie ispirate al grande Pasolini, sua “icona guida”, e a recitare in un teatro parrocchiale insieme ad alcuni amici di infanzia, tra cui Lello Arena. Successivamente con lo stesso Arena e con un altro suo grande amico, Enzo Decaro, fonda il gruppo “La Smorfia”.
Da La Smorfia al cinema – Il gruppo ha un grande successo, ma Troisi, ad un certo, punto sceglie di lasciarlo per intraprendere la carriera cinematografica. Debutta come regista, sceneggiatore e attore protagonista nel 1981 con “Ricomincio da tre”, capolavoro di comicità che gli vale numerosi premi, tra cui due David di Donatello per il miglior film e per il miglior attore. La sua carriera prosegue con una lunga sfilza di successi, nel 1982 recita con Lello Arena nel film “No grazie, il caffè mi rende nervoso”, e nel 1983 è la volta di “Scusate il ritardo”, film dedicato all’amore e alle difficoltà dei rapporti di coppia. Nel 1984 arriva “Non ci resta che piangere” , a fianco di Roberto Benigni, film ricco di citazioni storiche e gag esilaranti tra cui la memorabile stesura della lettera a Girolamo Savonarola, in cui i due protagonisti si cimentano in una sorta di remake dell’analoga scena interpretata anni prima da Totò e Peppino De Filippo in “Totò, Peppino e…la malafemmina”. Si susseguono, poi, “Hotel Colonial”, girato in Colombia, “Le vie del Signore sono finite”, “Splendor” e “Che ora è?” , per il quale Troisi viene premiato alla Mostra del Cinema di Venezia con la Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile, ex aequo con Mastroianni, e nel 1991, infine, l’ultimo film che lo vede regista : “Pensavo fosse amore invece era un calesse”, nel quale recita insieme a Francesca Neri.
La carriera culmina e termina con il film Il Postino – Nel 1994 Troisi compie il suo ultimo sforzo, per non privarci di un ulteriore capolavoro: scopre di doversi sottoporre ad un altro intervento chirurgico con urgenza, per fronteggiare i problemi cardiaci che sin da piccolo l’avevano accompagnato, ma decide di rimandarlo per non posticipare le riprese del film “Il postino”, tratto dal romanzo “Il postino di Neruda” di Antonio Skàrmeta e girato tra Procida e Salina. Il grande Massimo riesce a terminare le riprese con immensa fatica, ma muore a distanza di poche ore, lasciando tutti sgomenti. Il film verrà poi candidato a cinque Premi Oscar, tra cui lo stesso Troisi come miglior attore, ma delle cinque nomination riuscirà ad incassare solo l’Oscar per la miglior colonna sonora. Nel 1996, a due anni dalla sua scomparsa, l’allora sindaco di San Giorgio, Aldo Vella, istituisce per lui il “Premio Massimo Troisi”, come concorso di corto comico e selezione nuovi attori, che ha acquisito sempre più lustro ed importanza nel corso degli anni, contando anche sull’appoggio di ospiti del calibro di Lucio Dalla, Tiziano Ferro, Renzo Arbore, Maria Grazia Cucinotta e molti altri.
Solo pochi tratti quelli sin qui descritti, pochi passi della vita di un personaggio a dir poco magnetico. Un inimitabile cultore dei sentimenti, dall’amicizia, all’amore, agli affetti familiari, anche nei loro aspetti più controversi, un artista cui va il merito di aver dato vita a protagonisti apparentemente standardizzati, ma lontani, invece, da etichette e banalità, napoletani impregnati di una napoletanità diversa, nuova, personaggi che spesso si abbandonano all’introspezione, trattando temi solenni come l’amore, la religione e la malattia in modo ironico, spesso umile e allo stesso tempo riflessivo. A noi non resta che approfittare delle grandi fonti di comunicazione del nostro tempo e continuare curiosare in rete tra una scena e l'altra dei suoi film, lasciandoci trasportare dal fascino del suo linguaggio mimico e verbale, tra balbettii, monologhi esilaranti e colorite espressioni dialettali, godendoci, però, anche quei suoi momenti poetici, carichi di sensazioni pure e profonde.
E se le prime parole delle poesia di Benigni ci hanno accompagnato all'inizio di questo breve viaggio, è giusto che gli ultimi versi di questa stessa poesia ci conducano verso la fine : "O Massimino, io ti tengo in serbo, fra ciò che il mondo dona di più caro. Ha fatto più miracoli il tuo verbo di quello dell'amato San Gennaro".