Pupi Avati: “Mio figlio ha preso il coronavirus, soffro tremendamente perché è a Londra”
Anche il figlio di Pupi Avati è risultato positivo al coronavirus. Lo ha svelato lo stesso regista emiliano, in un'intervista al Corriere della Sera: Alvise Avati, che vive e lavora a Londra, si è contagiato insieme ai suoi famigliari. Fortunatamente, ora stanno tutti meglio. Al quotidiano, il cineasta ha raccontato i suoi giorni di isolamento insieme alla moglie Nicola:
Lei mi vieta di uscire, continua a dirmi di lavarmi le mani, non la posso toccare, baciare, abbracciare. I due figli che abbiamo a Roma ci lasciano la spesa in ascensore. L’altro, che si occupa di effetti speciali per il cinema, è a Londra e si è ammalato di Coronavirus con tutta la famiglia: lui, la moglie, il figlio di 12. Solo quello di 11 non è stato contagiato. Per fortuna, dopo 18 lunghissimi giorni, stanno meglio e hanno ripreso una vita quasi normale. Non sentivano sapori né odori, avevano la febbre a 39, prendevano il paracetamolo, la febbre scendeva, poi risaliva. Avevano tosse, ma hanno sempre respirato bene. Ora, sentono solo una spossatezza infinita.
Chi sono i figli di Pupi Avati
Avanti ha spiegato di aver pensato di far venire il figlio e la sua famiglia in Italia, incontrando però il rifiuto di Alvise e l'aiuto delle autorità: "Mio figlio mi ha risposto: papà, da voi ci sono mille morti al giorno. In effetti, non aveva senso e non si poteva. Dopo, col supporto del console italiano, non ci siamo mai sentiti soli". Alvise Avati si occupa del reparto animazione e ha lavorato per molte super produzioni come "Avengers: Age of Ultron", "Star Wars – Il risveglio della Forza", "Guardiani della Galassia Vol. 2", "Thor: Ragnarok" e la serie "Queste oscure materie" (attualmente è il supervisore di "The Suicide Squad"). Avati è inoltre papà di Mariantonia Avati, regista, e Tommaso Avati, sceneggiatore.
Il racconto di Pupi Avati
Sono commoventi le parole di Pupi Avati, che racconta il suo rapporto con la paura della morte, la vita in una Roma deserta e silenziosa, la distanza sociale dalla moglie anche nell'intimità casalinga. 81 anni, con 52 film da regista all'attivo, Avati risiede nella capitale da mezzo secolo.
Io ho una confidenza con la morte che non è delle generazioni educate all’immortalità e che mi è stata trasmessa dalla cultura contadina. La morte è qualcosa che ho sempre considerato nell’interlocuzione. A casa, ho una parete che chiamo “la via degli angeli” con almeno 150 deliziosi ritratti in cornici dorate e con tutte le persone della mia vita che se ne sono andate. Tutte le sere, vado a salutarle. Prego dicendo i loro nomi. Vivo vicino a Piazza di Spagna da 50 anni e non ho mai sentito un silenzio così profondo e anche un po’ solenne, sacro, che ora mi fa venire in mente la piazza vuota di Papa Francesco. Oltre quella piazza, so che non ci sarà niente di più emozionante. Descriverla è impossibile, è una delle rare cose che vedi e per le quali non hai parole, perché sei sotto la dismisura della parte ineffabile della vita. Ogni sera, adesso, davanti ai miei morti, c’è quel silenzio, ma le preghiere non sono cambiate, è cambiato un po’ solo il mio modo di vivere. (…) Viviamo in un appartamento grande senza sfiorarci. Per la prima volta, penso che mi manca più essere abbracciato che poter abbracciare. Forse erano cose che già facevamo poco, ma ora, anche se volessi, mi è vietato. Mi manca quella specie di bacio della buonanotte che ci davamo la sera. Da vecchio, torni simile a come eri da bambino e io ho grande nostalgia dell’infanzia. Vorrei tornare a essere figlio, avere due genitori che mi portano fuori tenendomi per mano
I nuovi progetti di Pupi Avati
Nei giorni scorsi, Avati ha lanciato un appello alla Rai affinché trasmetta più programmi di cultura per gli italiani costretti a restare a casa. "Il presidente Marcello Foa lo ha apprezzato molto. Credo non solo a parole", ha spiegato il regista, che ha avuto modo di parlare con il dirigente Rai ed è convinto che il servizio pubblico andrà incontro alle esigenze di un Paese "fatto di gente bellissima a cui, ora, serve bellezza come se fosse paracetamolo". Intanto, Avati non resta inattivo: sta lavorando ai suoi nuovi progetti, tra cui un libro, un film su Giuseppe Sgarbi e Rina Cavallini e un ambizioso progetto di Dante. Ha persino ripreso lo studio del clarinetto: da giovane era in una jazz band, passione che ha inserito in film come "Bix" o il semiautobiografico "Ma quando arrivano le ragazze?".
Malgrado le sofferenze tremende vissute per mio figlio malato a Londra, ho la fortuna di sapermi inventare le cose. Mi sono impegnato nella scrittura di un romanzo. Quando ti butti in qualcosa che ti prende, vai in un altrove che lenisce ogni brutto pensiero. A parte la pausa per il bollettino delle 18, scrivo tutto il giorno e metto in cantiere progetti, perché è come regalarmi futuro: lavoro al film sui genitori di Elisabetta e Vittorio Sgarbi le cui riprese dovevano partire il 23 marzo, lavoro al film su Dante Alighieri che voglio fare dal 2002… Mica mi faranno morire prima fare il film su Dante? E ho ripreso a studiare clarinetto. Avevo studiato per sei anni e ho ripreso gli esercizi del primo. La cosa bella è che mia moglie ha accanto a sé, da 52 anni, un disturbato di mente e non si stupisce di niente.