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Quando Tinto Brass sbarcava a Venezia con le sue donne svestite

Il red carpet volgare di Dayane Mello e Giulia Salemi ci riporta indietro nel tempo di vent’anni, quando Tinto Brass sbarcava sul Lido con le sue donne svestite ma piene di una carica erotica che oggi non esiste più: “Il sesso che c’è oggi è buttato via, è buttato lì senza nessuna intenzione”
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Venezia 1995 - Foto di Alcide Boaretto
Venezia 1995 – Foto di Alcide Boaretto

Il red carpet esuberante e scosciato, da molti considerato eccessivo e volgare, di Dayane Mello e Giulia Salemi alla Mostra del Cinema di Venezia ha lasciato "qualcosa di cui parlare" anche quest'oggi. Tralasciando ogni manicheismo, che sia giusto o sbagliato presentarsi e lasciare il segno in quel modo piuttosto che in un altro, è stato impossibile non pensare ad uno che in fatto di eccessi e provocazione è stato un assoluto maestro. Tinto Brass, uno di quei personaggi che al cinema ha dato tanto e che nel suo periodo d'oro ha raccolto davvero poco rispetto a quanto meritasse. Uno di quelli che, a guardare la filmografia dopo anni di distanza e di sua inattività, spaventa per la bellezza del girato che ci lascia e che, proprio perché oggi il nudo è spiattellato volgarmente da Facebook a Instagram, da Snapchat a YouPorn, già si rimpiange per l'assenza di un suo possibile erede.

Era il primo settembre 1995 quando da uno dei battelli di Venezia arriva il cast di Fermo posta, Tinto Brass. C'è il regista e ci sono le sue muse, tutte procaci e seminude e mentre i fotografi si lanciano ad immortalare momenti che la storia considererà preziosi (sul sito ufficiale di Alcide Boaretto ci sono una serie di scatti meravigliosi), lui le tocca generosamente alla sua maniera, avido e voluttuoso. Per la stampa e l'opinione pubblica fu un invito a nozze e i giudizi furono, come da copione, pesantissimi.

"Il sesso che c'è oggi è buttato via, è buttato lì senza nessuna intenzione". Così il regista in una recente intervista – bellissima – di Enrico Lucci per "Le Iene". Oggi Tinto Brass ha 84 anni e dopo una serie di mostre e retrospettive, approfondimenti fino a un documentario presentato nella stessa Venezia che lo accoglieva con la puzza sotto al naso, ha avuto finalmente la sua rivincita. Perché nel suo cinema di volgarità un tanto al chilo, non c'è traccia. È poesia, gigantesca poesia, eccesso mai sprecato anche quando fine a se stesso. Perché un culo è pur sempre un culo ("È lo specchio dell'anima, e non chiamatelo sedere!" – disse in un'intervista). È eros manifesto, ode alla donna e al suo corpo, inno ai piaceri sessuali. Tinto è stato cultore di genere e propulsore dei sogni più pruriginosi ed oggi, al confronto con quello che c'è rimasto da Belen in giù, è impossibile non vederlo come un gigante.

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