Raimondo Vianello, addio al britannico nostrano
Era uno dei volti simbolo dello spettacolo italiano dal dopoguerra a oggi, accompagnando il pubblico italiano di ogni generazione per più di 40 anni. Da oggi non c’è più: Raimondo Vianello, uno dei nonni della nostra tv e del nostro cinema è morto, all’età di 88 anni (li avrebbe compiuti il 7 maggio), all’ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato per complicazioni dovute alle sua lunga malattia, tanto che con la moglie Sandra Mondaini erano diventato simboli nella lotta contro il cancro.
La sua lunghissima carriera comincia nel ’47, quando con I due orfanelli dà vita a un sodalizio con Totò (il cui crollo della tomba rischia di metterne a rischio anche la memoria) che proseguirà per 5 film fino a Totò diabolicus del ’62; ma la vera fortuna Vianello la deve – tanto al cinema quanto in tv – all’accoppiata con il talento anarchico di Ugo Tognazzi, col quale esploderà nei grandi varietà degli anni ’60, come Un, due, tre o Studio uno e nelle pellicole nate da quel successo, come A noi piace freddo di Steno, Marinai donne e guai di Simonelli o Noi siamo due evasi, dello stesso regista.
Al ritmo di 4-5 – se non di più – film all’anno, la carriera di Vianello macina successi che s’interrompono quando con la moglie decidano di occuparsi solo di tv; ma Vianello continua a lavorare per il grande schermo come sceneggiatore, scrivendo anche i film degli anni ’70 che lanceranno Lando Buzzanca, uno dei feticci del regista Pietro Germi. Ma la vera fama, per lo meno la sua onda lunga, Vianello la trova quando alla fine degli anni ’70 passa alla televisione privata, della quale sarà uno dei protagonisti assoluti. Varietà, quiz, sitcomedy e fiction, programmi sportivi, e poi il ritorno a Sanremo. Sempre con l’aplomb britannico, venato di sottile follia surreale, che da sempre l’avevano contraddistinto. E che ce l’hanno reso, ancora e sempre, più caro.
Emanuele Rauco