Vent’anni da Il Diario di Bridget Jones: Renèe Zellweger prima paladina della body positivity
Incredibile a dirsi, ma sono già passati vent'anni da quando è comparso nelle sale cinematografiche uno dei film che ha modificato, una volta per tutte, l'idea della commedia romantica, ovvero "Il Diario di Bridget Jones". Tratto dall'omonimo romanzo di Helen Fielding e interpretato da una incredibile Renèe Zellweger, il film è entrato a pieno titolo tra le pellicole più amate dal pubblico e ne seguirono, infatti, ben altri due capitoli. Ma perché, a distanza di due decenni, amiamo ancora così tanto questo film e sorridiamo al solo pensarci?
Perché ci piace ancora così tanto?
Pasticciona, disordinata, sempre insoddisfatta, ma con una sconsiderata voglia di migliorarsi, Bridget Jones è stata l'incarnazione della donna "come tante", protagonista di una storia che non ha alcun merito eccezionale se non quello di essere raccontata, sebbene sia ispirata al romanzo inglese per eccellenza, ovvero "Orgoglio e pregiudizio". Superati i trent'anni con un bagaglio di aspirazioni e aspettative pronto a scoppiare da un momento all'altro, Bridget vuole prendere in mano la sua vita e decide di farlo dopo una lunga e pungente conversazione avuta con l'altezzoso Mark Darcy- indimenticabile Colin Firth- verificatasi durante un buffet natalizio. La svolta avviene in questo modo: Bridget inizia a scrivere un diario, nel quale appunta tutto ciò che le accade e tiene la conta del suo peso, delle sigarette fumate e dei vari ed eventuali sgarri a cui cede, sebbene l'obiettivo sia diventare la versione migliore di sé.
Bridget Jones eroina contemporanea
Il suo cammino è lastricato di incredibili e tragicomiche avventure, dalle quali riesce a tirarsi fuori con la sua solita goffaggine, quella predisposizione all'ironia che l'ha resa, forse involontariamente, una ‘eroina' contemporanea, decisa a trovare il suo posto nel mondo pur imbattendosi in una serie di sventure inenarrabili. Ed è così, quindi, che finisce per invaghirsi del suo capo, un affascinante Hugh Grant (nel film Daniel Cleaver), che incarna perfettamente il donnaiolo senza scrupoli che non si scandalizza alla vista di indumenti intimi contenitivi, indossati per aggraziare quelle rotondità che tanto fanno dannare la buffa Bridget, ma anzi, riesce a trovarli anche sexy. Si consuma, quindi, il cliché per eccellenza: quello della dipendente che intrattiene una liaison con il suo superiore. Ma l'idillio dura ben poco perché, nonostante l'attrazione, la modella di turno è sempre dietro l'angolo, pronta ad acciuffare quello che ogni Bridget Jones reputa la realizzazione di un sogno.
L'accettazione di sè
Il vero sogno, però, è un altro. Ed è quello che Bridget impara scontrandosi con ogni nuovo gesto dopo il quale si sente inadeguata e vorrebbe cancellare dalla sua mente, per il quale prova vergogna e desiderio di rivalsa, ma dopo averlo elaborato si rimette in piedi più forte di prima. Il vero sogno, quindi, è accettarsi per ciò che si è, non cercando di essere più magra, più interessante, meno chiacchierona, meno imbranata, insicura e testarda, no, e il paradosso più grande è che ad accettarla prima ancora che potesse farlo lei, c'era l'uomo che più aveva detestato: quello stesso Mark Darcy che l'aveva invogliata a riprendere in mano la sua vita. Qui la cifra romantica è innegabile e guai se non ci fosse. Forse una commedia del genere, adesso, non sarebbe possibile, perché l'idea di femminismo portata avanti dalla protagonista del film stride con quello a cui ci siamo abituati. Bridget forse è meno agguerrita, ma non per questo meno combattiva, porta avanti le sue piccole battaglie ogni giorno e nel suo micro-cosmo. Ed è forse questo essere anticonformista, in maniera inconsapevole, che ha reso "Il Diario di Bridget Jones" un film che anche a distanza di vent'anni continuiamo a guardare con una certa dose di compiacimento.