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A Totò: genio incompreso, maschera allegra dai lineamenti cupi, mito intramontabile

Omaggio ad Antonio De Curtis, in occasione del 46° anniversario della sua morte.
A cura di Anna Coluccino
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TotAntoniodeCurtis

"Era attore nel vero senso della parola: non si portava appresso quello che era in effetti nella vita, ed era completamente diverso da come lo si vedeva sullo schermo. […] Totò nel lavoro non ha mai fatto se stesso, ma ha interpretato altri personaggi, anche nei gesti, nel modo di muoversi". Suso Cecchi D'Amico, sceneggiatrice

"Con Totò forse abbiamo sbagliato tutto! Lui era un genio, non solo un grandissimo attore. E noi lo abbiamo ridotto, contenuto, obbligato a trasformarsi in un uomo comune tarpandogli le ali". Mario Monicelli, regista e sceneggiatore

Il 15 aprile di quarantasei anni fa, moriva a Roma il principe Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, universalmente noto con il nome di Totò; un nome la cui sola pronuncia basta a far fiorire un immancabile sorriso sul volto di chiunque abbia assisto, anche una sola volta nella vita, ad una delle sue performance. Eppure, come tutti i più grandi comici che la storia dello spettacolo abbia mai conociuto, Totò non era, nella vita, un uomo incline all'ilarità e all'ottimismo. La sua biografia è costellata di drammi più o meno gravi che -con il tempo- hanno finito per colorare la sua vita di un nero denso e profondo come l'abisso: dal rifiuto del padre a riconoscerlo come figlio, al suicidio dell'adorata Liliana Castagnola, alla terribile malattia agli occhi che finì col renderlo quasi del tutto cieco.

Come riuscisse un uomo dal vissuto così penoso e drammatico a rallegrare la vita e le giornate del suo pubblico resta un mistero, ma -in fondo- tutti i più grandi clown del mondo patiscono -in segreto- un impronunciabile dolore, e probabilmente proprio per questo scelgono di dedicare un'intera esistenza alla risata. Cosa c'è di meglio per un artista tormentato dell'esorcizzare la propria sofferenza ricoprendola delle avvolgenti e calorose risate di chi lo circonda, del suo pubblico? E non è forse il lancinante bisogno di "piacere" (nell'accezione migliore del termine) a spingere gli uomini verso l'arte? D'altronde, tutti nasciamo dominati dall'incontrollabile pulsione di essere amati ancor prima che di amare, e un artista non fa differenza. Anzi, molto spesso gli artisti non sono altro che gli esseri più soli della terra, alla perenne ricerca dell'affetto della gente, di qualcuno che li guardi negli occhi e dica "mi hai cambiato la mia vita" o semplicemente "hai cambiato la mia giornata". Che fosse o meno questa la ragione per cui Antonio De Curtis decise di dedicare, a soli quindici anni, la sua vita allo spettacolo, non gli saremo mai abbastanza grati per tutto quanto ci ha donato.

Inutile ricordare la sua poderosa produzione cinematografica e tetrale. In soli sessantanove anni di vita, Totò ha preso parte ad oltre cinquanta tra spettacoli teatrali e varietà, un centinaio di film per il cinema, una decina per la televisione, sketch pubblicitari, apparizioni TV, per non parlare delle decine di film progettati e mai realizzati , delle poesie, delle canzoni… In sostanza, Antonio De Curtis ha trascorso la quasi totalità della sua esistenza su di un palcoscenico, con l'unico obiettivo di far ridere, piangere e pensare i tanti che l'hanno amato e che, ancora oggi, non resistono al desiderio di rivedere, per la miliardesima volta, uno dei suoi film. E non lo fece certo per soldi! Tutti sanno che il Principe morì in miseria, e sono molte le testimonanze che raccontano di una generosità quasi compulsiva.

Ecco perché Totò rappresenta, senza alcun ombra di dubbio, la meglio napoleanità. La stessa di Troisi, di De Filippo e dei tanti che hanno saputo raccontare Napoli senza risparmiargli critiche velenose e durissime, così come una buona madre non si risparmia in rimproveri verso i figli. E tutto per amore. Per amore di quella bellezza che -oggi- viene quotidianamente soffocata, capestata; dimenticata a favore di una pseudo-napoletanità che fa della delinquenzia e della furbizia il suo stendardo. Oggi vogliamo ricordare Totò non tanto per quello che ha saputo regalare allo spettacolo italiano, ma per l'indefessa dedizione all'arte; una dedizione che non era semplice stacanovismo, ma necessità vera; e nessun artista al mondo può dirsi tale se non avverte il bisogno (spesso tutt'altro che piacevole) di fare arte.

Moltissimi personaggi hanno dedicato un pensiero alla figura di Antonio De Curtis, ma noi abbiamo deciso di lasciarvi con quel che disse di lui Pier Paolo Pasolini. Crediamo infatti che nessun'altro sia riuscito a cogliere meglio l'essenza della persona, prima ancora che del personaggio, un'essenza che -quasi certamente- sfuggiva a Totò stesso.

Dicono che Totò fosse principe. Una sera che eravamo a cena insieme diede una mancia di ventimila lire a un cameriere. Di solito i principi non danno simili mance, sono molto taccagni. Se Totò era principe, era dunque un principe molto strano. In realtà conoscendolo risultava un piccolo borghese, un uomo di media cultura, con un certo ideale di vita piccolo borghese. Come uomo. Ma come artista, qual è la sua cultura? La sua cultura è la cultura napoletana sottoproletaria, è di lì che viene fuori direttamente. Totò è inconcepibile al di fuori di Napoli e del sottoproletariato napoletano.

Ad Antonio De Curtis, in occasione del 46° anniversario della sua morte, con infinito affetto e ammirazione.

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