Apocalypse Now, l’orrore nell’ombra, e un posto nella Leggenda
Ci sono film che entrano nell'immaginario collettivo, si stampano a fuoco nelle anime degli spettatori, e innalzano un Mito destinato a durare per l'eternità. Uno di questi, senza dubbio, è Apocalypse Now, a giudizio di chi scrive il più bel film di guerra di sempre, nonché un pilastro assoluto dell'intera storia della Settima Arte. Un culto assoluto, realizzato nel 1979 in condizioni produttive e ambientali estreme, per il quale Francis Ford Coppola mise in gioco le sue finanze e la sua stessa vita (tentò perfino il suicidio in un momento di depressione durante le riprese), e che venne capito dalla critica e dal pubblico gradualmente, fino a conquistare un posto nella Leggenda.
La sequenza iniziale, sporca e scottante, sulle note di The End dei Doors. Le pale del ventilatore sul soffitto che girano. L'odore del Napalm al mattino. I soldati e il surf. Lo sguardo inebetito di Martin Sheen. L'arrivo degli elicotteri e l'attacco al villaggio con la musica wagneriana della Cavalcata delle Valchirie. Le soffocanti scene di combattimento. I miasmi e il silenzio teso della giungla cambogiana. Lo sguardo del Colonnello Kurtz nella penombra. L'epitaffio da brividi con il “The Horror” pronunciato da Marlon Brando a chiudere l'epica narrazione.
Sono solo alcuni dei momenti indimenticabili di un film da antologia, capace di ipnotizzare dall'inizio alla fine nonostante la durata (oltre 3 ore la versione Redux), e di farci respirare la guerra del Vietnam fino a buttarci nel conradiano cuore di tenebra della trincea, verso la morte dell'anima, e la glorificazione del cinema. Magniloquente, ma mai fuori luogo, la regia di Coppola (tornato da poco con Tetro), soundtrack grandiosa, fotografia di Vittorio Storaro efficacissima, e attori tutti perfettamente in parte, dai citati Sheen e Brando, passando per la grande anima West di Robert Duvall, e per il compianto Dennis Hopper, che ci ha appena lasciati.
“Ho osservato una lumaca strisciare lungo il filo di un rasoio. Questo è il mio sogno, e anche il mio incubo: strisciare, scivolare lungo il filo di un rasoio, e sopravvivere.” Firmato, Walter E. Kurtz.
Alessio Gradogna