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Federico Fellini morì 20 anni fa, più del nome mancano i suoi sogni

Capace di fare un film su un film che non c’era più e renderlo un capolavoro: il 31 ottobre 1993 muore Federico Fellini, che non ci manca per il suo nome, ma perché da vent’anni, al mondo, contiamo un sognatore in meno.
A cura di Andrea Parrella
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Mi sono sempre fidato ciecamente di quella frase nella quale Federico Fellini si descriveva come uno con poche cose da dire, ma che tuttavia sapesse come dirle. Si tratta di una sentenza che legge negli occhi di chi si trovò a far fronte all'irruzione di un regista visionario come lui, la cui maggior parte dei film non fu che l'aggregazione di tante suggestioni, ricordi tornati in mente a Fellini, spesso quando la sceneggiatura era già scritta. Mi sono sempre meravigliato di quell'approccio intellettualistico alla visione di un film di cui Fellini chiedeva spesso allo spettatore di disfarsi. Della possibilità di una doppia strada nella formulazione di un giudizio: l'analisi critica, semmai pure negativa (ho visto e sentito uomini dire "A me Fellini non piace" e dare a tale considerazione valide motivazioni), oppure il viso piacevolmente inebetito da un sogno che non finisce mai.

Perché è vero pure che il pubblico ha bisogno di chiedersi il perché di una cosa e Fellini di perché era oggettivamente avaro. E' vero che molti, troppi, si saranno chiesti del perché di quel labirinto di neve assurdo della Rimini immaginata nel suo Amarcord, dell'astronave di Otto e 1/2 e del perché non venisse più utilizzata o, semmai, il perché di quella sfilata confusa e apparentemente incomprensibile che è la scena finale di quel film. Di questi molti spettatori, una cifra considerevole non sarà riuscita a darsi una risposta: ma se avessimo provato a guardarli negli occhi, che sogni avremmo visto!

Ho tentato di chiedere a diverse persone una manciata di parole a bruciapelo che gli facessero tornare alla mente Fellini e il risultato non è stato altro che voli pindarici, figure retoriche improvvisate, più o meno riuscite: ma soprattutto, il minimo comune denominatore sono stati occhi rivolti verso una direzione che di certo non era quella dell'interlocutore, occhi ipnotizzati, occhi che brillavano. Ha delle responsabilità un regista di cinema? Non firma certo un giuramento di Ippocrate ma sì, ha dei doveri deontologici. La responsabilità ad esempio di prendersi cura della fantasia di chi ne guarda le opere, averla a cuore, educarla ove mai fosse possibile. Un regista non deve riflettere la realtà, non solo questo per lo meno, ma se ne ha le capacità deve semmai amplificarla, prendere quello specchio che è un muro, una barriera riflettente e renderlo una porta, una via d'accesso all'esplorazione dell'altro che c'è oltre. Molto semplicemente, Federico Fellini aveva questa dote, al netto di chi sia appassionato, o di chi non lo ami particolarmente, è una verità inconfutabile.

Si fa molto presto a dire che oggi, 31 ottobre, ci manca: si tratta di Fellini, è morto vent'anni fa, ha collezionato successi internazionali che fanno di lui uno degli italiani di maggiore successo che il cinema nostrano possa vantare, ha assunto irrimediabilmente la caratura del mito. Tutti elementi che sarebbero già sufficienti ad esaltarlo in questo giorno di ricorrenza. Ma c'è dell'altro, c'è che manca, appunto, un narratore di sogni. Non manca solo a questa generazione o a quelle future perché non ce ne sono più o non ce ne saranno: di uno che sappia raccontare l'inesistente, ad esempio la mancanza di idee e di ispirazione, e fare di questo racconto dell'assenza un capolavoro, ebbene di uno così si percepirà sempre la mancanza, indipendentemente da come si chiami. Oggi, da vent'anni esatti, sulla faccia della terra c'è un sognatore in meno.

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