Fuori controllo, il declino di Mel Gibson
Dopo molti anni di assenza come protagonista, impegnato a far parlare di sé come regista e alcolizzato, Mel Gibson torna al centro di un film solo come attore: Fuori controllo, diretto da Martin Campbell, regista di due dei migliori 007 di sempre, Casino Royale e Goldeneye. Gibson interpreta un poliziotto veterano a cui uccidono la figlia: l’iniziale errore di persona si trasforma pian piano in un complotto di oscure proporzioni.
Sceneggiato da William Monahan (The Departed di Scorsese) e Andrew Bowell, il film è un poliziesco classico che, seguendo le orme di una miniserie inglese degli anni ’80, si trasforma in un thriller di cospirazione e pretese politiche e naturalistiche (come l’omologo State of Play con Russel Crowe), ma che soprattutto pare tracciare un quadro preciso del sessantenne Mel Gibson: una preghiera intensa, le croci esposte in bella vista sul suo collo quanto alle pareti, un anello col sacro cuore, ma anche la violenza contro i cattivi giustificata da una morale fondamentalista che, dopo un rapimento ridicolo come una parodia di James Bond, si sfoga in un finale caciarone, discutibile per contenuti, modi e messinscena.
Campbell ci sa fare, è un regista che maneggia l’azione, il ritmo e la violenza con acume e intelligenza, ma purtroppo si fa coinvolgere dallo sciupato carisma di un attore come Gibson più impegnato a mostrare il suo credo che a recitare. E il film ne risente, anche perché – in questa versione seria di Io vi troverò con Liam Neeson – la sceneggiatura non sa tenere in piedi ritmo e intreccio. Un film che pare d’altri tempi che non ha altri mezzi da giocare se non quello di un attore che non riesce più a bucare lo schermo senza suscitare qualche patetico sorriso.
Emanuele Rauco