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Giulio Andreotti al cinema, da Sordi a Il Divo

Il personaggio di Giulio Andreotti nel mondo del cinema: da Il Tassinaro, dove interpreta se stesso parlando di lavoro e università con Alberto Sordi, a Il Divo di Paolo Sorrentino dove deve “perpetuare il male per garantire il bene”.
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Il personaggio di Giulio Andreotti nel mondo del cinema: da Il Tassinaro, dove interpreta se stesso parlando di lavoro e università con Alberto Sordi, a Il Divo di Paolo Sorrentino dove deve "perpetuare il male per garantire il bene".

Guerre puniche a parte, nella mia vita mi hanno accusato di tutto quello che è successo in Italia. Una delle battute più celebri recitate dal Giulio Andreotti secondo Paolo Sorrentino, ne Il Divo, pellicola del 2008 interpretata con Toni Servillo nel ruolo di protagonista. Il personaggio di Giulio Andreotti è stato raccontata al cinema, ufficialmente, soltanto una volta, ma una seconda apparizione invece c'è stata nel film di animazione di Mario Verger, Giulio Andreotti datato 2000. Una terza apparizione è stata fatta, questa volta in persona, nel 1983, nel film con Alberto Sordi, Il tassinaro. Giulio Andreotti interpretava se stesso, dialogando con Alberto Sordi di mondo del lavoro e di università:

Abbiamo aperto le università a tutti, in futuro dovremmo fare il numero chiuso. Non bisogna credere che tutti possano fare l'università fino a 35 anni. A San Francisco, una volta, incontrai un ingegnere che guidava un tram, loro avevano un anno d'intervallo e quest'ingegnere, in quell'anno di intervallo, guidava i tram. L'ingegnere non lo considerava così disdicevole.

"Perpetuare il male per garantire il bene". Il Giulio Andreotti di Paolo Sorrentino è un personaggio dilaniato dall'emicrania, costretto all'agopuntura per lenire il dolore. Sono le prime immagini che il regista campano ci restituisce del politico, seguito nel film a partire dagli anni Ottanta, quando si appresta a diventare per l'ennesima volta Presidente del Consiglio.  Toni Servillo è una maschera perfetta per interpretare un uomo apparentemente privo di qualsiasi reazioni, su cui però pesano tutti gli avvenimenti della seconda repubblica. Dall'uccisione di Aldo Moro alle morti degli anni di piombo, dal caso Pecorelli al caso Calvi, da Sindona ad Ambrosoli, Tangentopoli, il processo per collusione con la mafia, i presunti rapporti con Riina e l'assoluzione da ogni accusa. Un uomo che è il Potere, questo è stato l'Andreotti sorrentiniano. Un personaggio che, nel monologo proposto sopra, parla a Lidia Danese, sua moglie, confessandogli che per preservare il potere, e quindi il bene, c'è bisogno di "perpetuare il male".

Giulio Andreotti vide Il Divo in una proiezione privata, quando il film era al Festival di Cannes, molto tempo prima che arrivasse, il 28 maggio 2008, nelle sale italiane. Goffredo De Marchis per La Repubblica scrisse: 

Per un'ora buona ha seguito la proiezione immobile, il mento appoggiato alle mani di cera, la gambe incrociate. Ora le mani si staccano, si appoggiano sulle ginocchia, la sinistra colpisce forte la destra e nel buio risuona il gesto di stizza. "Questo no, questo è troppo. Capisco che la storia va caricata. Il regista doveva girare così. La mia vita è talmente tranquilla che ne sarebbe venuto fuori un prodotto piatto e senza pepe. Ma la mia corrente, per esempio, beh non era un giardino zoologico come la rappresenta il film. C'erano le invidie, gli scontri, gli scavalchi, la carriera, ma questa è la politica". Moro è il vero fantasma, la ferita aperta. "Non è corretto raccontare la sua morte come se ci fosse dietro qualcosa oltre le Br. La politica ci ha diviso. E le correnti, certo. Ma io e Moro ci conoscevamo da una vita, lui non voleva neanche fare politica ma studiare. È stato lui a designarmi come successore della Fuci. I giorni del suo rapimento sono stati durissimi e tornano. Anche per me". Non si considera un intoccabile: "Oggi sono senatore a vita ma per tanti anni i voti me li sono guadagnati". Qualche battuta gli serve a rientrare nel personaggio: "È un film impegnato, ma se si occupavano di qualcun altro, era meglio".

Il personaggio di Giulio Andreotti è presente anche in tre film, anche se di spalle e non in veste ufficiale. Una prima apparizione del suo personaggio avviene nel 1986, ne Il commissario Lo Gatto dove un attore di spalle ringrazia il commissario (interpretato da Lino Banfi) per il servizio reso alla Democrazia Cristiana durante la sua attività, atta a scoprire il legame di una soubrette con Bettino Craxi, all'epoca Presidente del Consiglio. Nel 1993 un attore lo imita, ancora una volta di spalle, in Giovanni Falcone di Giuseppe Ferrara. Nel 2002 è creditato come Il Gobbo, ancora una volta per Giuseppe Ferrara ne I Banchieri di Dio, film che ricostruisce il Caso Calvi.

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