Karina Huff, la ragazzina di Pittsburgh che mise a nudo gli italiani
La gente passa il tempo a decidere che cosa fare e poi non si fa mai niente. Così risponde la Samantha del primo "Vacanze di Natale" quando Mario le dice che "i ragazzi sono ancora di là a decidere che cosa fare". La ragazzina americana interpretata da Karina Huff spiazzava il Marchetti di Claudio Amendola e lo stesso pubblico in una battuta che, 33 anni e una quindicina di cinepanettoni dopo, pensare di risentirla da una delle attrici di oggi sembra pura fantascienza.
Ci metteva a nudo così la ragazza inglese di una generazione intera, tutta ai piedi del suo sorriso e del suo sguardo, oggetto del desiderio e simbolo di una sfrenata esterofilia degli italiani che Carlo Vanzina e la Filmauro hanno saputo cavalcare, da abili trendsetter, con il successivo "Vacanze in America", film in cui però la Huff manca. Quella ragazzina di Pittsburgh – nella finzione scenica, perché nella realtà è nata e vissuta a Londra – oggi non c'è più, portata via a 55 anni da un male che ha combattuto non soltanto con i bombardamenti farmacologici ma anche con le parole, spesso toccanti e adesso ancora di più, sul suo blog ufficiale "Dancing with the rain".
Chissà come è stato vivere da icona, come ci si sente ad essere in qualche modo un riferimento, un modello collettivo. Pensavo alla scena storica di "Sapore di Mare" in cui la sua Susan faceva provare la marijuana ad un Luca Carraro (Jerry Calà) sornione e italiano fino al midollo: provinciale e opportunista, che prova per la prima volta una pipetta solo per provarci con lei al grido di: "Mamma, che pere!". È un'Italia pop-culturale, lontana anni luce da quella nobile, intellettuale e riconosciuta nel mondo, ma è un'Italia che esiste da sempre, che oggi fatico a riconoscere, ma sostituendo il faccione dei Paolo Ruffini di oggi a quello dei Calà di ieri, vittima di quel bel trucco che è il cinema nazional-popolare, io me la rido ancora di gusto. E lo faccio senza la vergogna che contraddistingueva i critici e i giornalisti di un tempo.
La gente passa il tempo a decidere che cosa fare e poi non si fa mai niente. Ci avrà mai ripensato Karina a questa battuta negli anni di una seconda vita lontano dai riflettori? Ha avuto un figlio, anche per lui ha combattuto il suo male. Mi piace pensare che lei sia stata l'unica a sfuggire all'assioma – che sto per dire? – vanziniano e un po' ci credo nel leggere una poesia scritta per lei da un suo amico, Vegas De Laroja.
Ma io mi sento ancora viva.
E questa mia resistenza all'esistenza la voglio tirare fuori anche con le parole…
Le parole che spesso durante le chemio non escono più.
Perché vedi solo macchinari e pensi che i parchi siano la cosa più bella del mondo.
E una passeggiata nel parco vicino a casa la massima libidine che puoi provare mentre affronti un male forte.
Così quelle parole che non escono per tanto tempo…
Compongono frasi e pensieri che poi alla fine, tramite una mente…
Escono e si fanno sentire…
E affrontano il mondo per quello che é…
A volte opportunista e sadico…
A volte meraviglioso e solo…
Spesso solo Poesia.