La Nana, recensione
E' stata una delle più liete sorprese dello scorso Torino Film Festival, La Nana, diretto da Sebastian Silva. Amatissimo dal pubblico, che l'ha lungamente applaudito in tutte le proiezioni, ha avuto poi il suo successo anche nel resto del mondo, tanto da vincere il Gran Premio della Giuria al Sundance e ottenere una nomination ai Golden Globes come miglior film straniero. Dovrebbe uscire a maggio nelle sale italiane. Meglio tardi che mai, perchè questo è un film che merita davvero di non rimanere nell'oblio.
Siamo di fronte a un dramma brillantemente travestito da commedia. La pellicola di Silva racconta la storia di Raquel (ottimamente interpretata da Catalina Saavedra), che da 23 anni fa la badante presso la famiglia Valdes. Tutta la sua vita è racchiusa all'interno di quelle mura, in un rituale che si dipana tra gesti quotidiani sempre uguali, pulizie, preparazione dei pasti, commissioni, e accudimento dei ragazzi di casa. Raquel è una figura necessaria e imprescindibile, e questo ruolo la fa sentire bene. Ogni volta che i padroni di casa tentano di assumere una seconda Tata che l'affianchi e le dia una mano, lei fa di tutto per metterla in fuga il prima possibile, perchè quel territorio è soltanto suo, e nessun'altra si deve mettere in mezzo.
Alla fine, però, sarà suo malgrado costretta ad accettare l'arrivo della giovane Lucy, che le aprirà gli occhi sulle mancanze della sua vita, sul tempo che passa e non torna più, e sul vuoto che circonda la sua esistenza: un vuoto da colmare prima che sia troppo tardi. Silva sviluppa questa piccola storia di solitudine con grande sensibilità, regalandoci una narrazione divertente, piacevole, a tratti perfino esilarante, riuscendo però, allo stesso tempo, a farci riflettere sul dolore che divora dal di dentro questa donna, racchiusa in una gabbia soffocante da cui finalmente è ora di evadere, per spiccare il volo verso la libertà.
Alessio Gradogna