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L’“Amarcord” di Federico Fellini usciva 45 anni fa e non smetterà mai d’incantarci

Il 18 dicembre 1973 usciva il capolavoro più autobiografico del maestro riminese, popolato da una miriade di personaggi ancora vivi nei suoi ricordi, che ruotano attorno al suo alter ego Titta Biondi. Un tuffo nel passato nostalgico e divertente, universalmente valido, onirico e poetico, che gli valse il quarto Oscar al Miglior film straniero.
A cura di Ciro Brandi
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Il 18 dicembre 1973 usciva uno dei pilastri assoluti del cinema italiano e mondiale e della filmografia del grande Federico Fellini, “Amarcord”. La pellicola, ambientata tra il 1932 e 1933, nel vecchio borgo della sua Rimini (reinventata e onirica) popolata da un microcosmo di persone che viveva nei suoi ricordi – i signorotti della città, la donna attempata in cerca di marito, un musicista cieco, lo zio pazzo, la scuola e i professori, i fascisti – tutti satelliti che ruotano attorno al protagonista Titta Biondi (alter ego del regista e interpretato da Bruno Zanin) e alla sua famiglia. Nei 123 minuti di film, assistiamo al suo percorso di vita che culminerà nella maturità.

Il film più autobiografico

Il film fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes, suscitando subito l’interesse della critica. Fellini, all’epoca, aveva già conquistato ben tre Oscar al Miglior film straniero con “La strada”(1954), “Le notti di Cabiria”(1957) e “8 ½”(1963) ma con “Amarcord”, il regista raggiunge un livello decisamente altissimo, dando sfogo al suo amato lato autobiografico in modo impareggiabile. Tra l’altro, proprio il titolo è la contrazione di “a m’arcord”, cioè “mi ricordo” in dialetto riminese. Il vecchio borgo della sua Rimini (ricostruito interamente negli studi di Cinecittà) diventa un luogo senza spazio e senza tempo, con analogie universalmente valide. Quel borgo è popolato da una miriade di personaggi neorealistici in cui possiamo rivedere facilmente persone di nostra conoscenza, tra scene grottesche, divertenti, poetiche, emozionanti e, soprattutto, ricche di quella nostalgia rincuorante e positiva che ci riporta a rivivere i nostri stessi ricordi.

Il microcosmo di personaggi vivi nella sua mente

Le storie che s’intrecciano di tutti i personaggi usciti dai ricordi e dalla mente del regista – La Gradisca interpretata da Magali Noel; Teo, lo zio pazzo impersonato da Ciccio Ingrassia; la grande Pupella Maggio, nei panni di Miranda, la madre di Titta ma anche quelle di Lallo (Nando Orfei), Don Balosa (Gianfilippo Carcano), Volpina (Josiane Tanzilli), la giunonica tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), il nonno di Titta (Giusepe Ianigro) e il Capo Fascista (Ferruccio Brembilla) – fanno da cornice alla formazione del protagonista, agli anni della sua giovinezza. Non mancano inevitabili stoccate al fascismo (più che altro come movimento accettato passivamente dal popolo), ma che non si trasformano mai in accuse o demagogia spicciola, perché “Amarcord” non può essere definito “un film politico”, ma il fascismo è solo una delle mille sfaccettature narrate nel caleidoscopio felliniano.

Tonino Guerra, Nino Rota e la squadra di numeri uno

Per costruire tutto ciò, Fellini scrisse la sceneggiatura col grande Tonino Guerra, affidando la stupenda fotografia a Giuseppe Rotunno e le scenografie e i costumi a Danilo Donati. Elemento fondamentale del film sono le musiche dell’immenso maestro Nino Rota che, ancora oggi a 45 anni di distanza, tornano subito alla mente quando ripensiamo al film. Tutti questi aspetti, contribuirono ad arricchire la bacheca di Fellini del suo quarto e ultimo Oscar al Miglior film straniero e una miriade di altri premi, tra David di Donatello (2), Nastri d’Argento (4) e Globi d’Oro (1).

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