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Lello Arena: “Senza Massimo Troisi non mi diverto più”

“In un’Arena di nome Troisi ci vuole un Lello che gli si “azzecca” vicino per far succedere delle magie”. Inizia così l’incontro con i giovani creativi del Premio Fabula, il Festival della scrittura dei ragazzi dai 9 ai 20 anni, e Lello Arena, ultimo grande ospite della sei giorni al quale è stato assegnato il castelletto. L’attore napoletano è stato un fiume in piena di ricordi e aneddoti che lo legano all’amico Massimo Troisi.
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"In un’Arena di nome Troisi ci vuole un Lello che gli si “azzecca” vicino per far succedere delle magie". Inizia così l’incontro con i giovani creativi del Premio Fabula, il Festival della scrittura dei ragazzi dai 9 ai 20 anni, e Lello Arena, ultimo grande ospite della sei giorni al quale è stato assegnato il castelletto. L'attore napoletano è stato un fiume in piena di ricordi e aneddoti che lo legano all’amico Massimo Troisi, spunti perfetti per la staffetta di domande con i ragazzi desiderosi di scoprire più possibile del sodalizio che ha fatto sognare intere generazioni di comici.

Tra un giorno da leone, 100 da pecora e 50 da orsacchiotto cosa preferisci?

Scelgo 50 giorni da orsacchiotto, non c’è scelta. Tutto quello che a che fare con Massimo mi porta a schierarmi dalla sua parte…Mettiamolo subito in chiaro! Se ripenso a tutto il lavoro fatto per “Scusate il ritardo”…un continuo fuoco d’artificio.

Qual è il messaggio che ti ha trasmesso Massimo?

Massimo ha cambiato la vita di tutti quelli che hanno scelto di averci a che fare. Lui era un uragano, una tempesta…meno male che si alzava molto tardi, solitamente dopo le 14. Una fortuna perché non ce l’avremmo fatta a reggere la sua capacità di invenzione h24. Attraverso la sua fantasia cercava di costruire un nuovo universo. Devo riconoscere però che poteva anche essere un tormento: inventava delle cose e sopra ci costruiva mondi.

Per esempio?

La scena classica era questa. Mentre lui era ancora in pigiama e si preparava il caffè noi ci mettevamo a tavola per il pranzo. Si affacciava alla finestra e chiedeva: “Si sono visti? Si sono visti gli alieni?”. Sembrava la domanda di un folle e lui invece incalzava. “Tutti gli scienziati stanno studiando, montando antenne e solo tu dici che non ci stanno. Capisci che se io li vedo vengono le televisioni, giornali e io divento famoso senza aver fatto niente?”. La cosa non durava quindici minuti ma giornate e giornate. Nella sua fantasia stava cercava un nuovo universo. E questa è la cosa che mi ha colpito di più di lui. Ci ha sempre invitati a giocare ma seriamente e fino alla fine. Se posso trasferirvi questo input: giocate sempre, siate bambini finché ve lo ricordate.

Come ti è venuta la passione di fare l’attore?

È colpa delle suore. Ogni anno, in occasione del compleanno della madre superiora si preparava uno spettacolo. Il problema è che noi pensavamo che lei fosse morta da tempo e che quella che venisse tirata fuori fosse come una mummia…faceva impressione. Il premio per chi recitava meglio era il bacio della Madre Superiora. E noi cercavamo di recitare malissimo. Se non ho smesso allora….

Nelle nostre case porti risate e divertimento: quanto è difficile essere sempre allegri?

Si dice che i grandi comici siano le persone più tristi del mondo. Io provo a non dare confidenza a nessuno in casa ma non ci riesco, quindi il mio sforzo è doppio. Sinceramente non credo che ci sia un collegamento tra vita professionale e privata. Chaplin diceva che per far ridere le persone bisogna creare una regola che il comico rompe. Roba da ingegneri.

Qual è il film che porti nel cuore? 

Da spettatore “Scusate il ritardo”, ma sono molto legato a “Ricomincio da tre”: in quell’occasione non avevamo idea di come si facesse un film, ci siamo dovuti inventare tutto e tutti insieme. Ho fatto qualsiasi cosa, ho portato i caffè, ho affiancato Massimo alla macchina quando lui era in camera, abbiamo sostituito attori che non arrivavano e da lì sono nate anche scene non previste, come lo sketch di “Fatti leggero”.

Un aneddoto particolare?

“Scusate il ritardo”: per girare quella scena sotto la pioggia utilizzammo 4 autobotti dei vigili del fuoco. Tutto merito della grande maestria di Massimo: 9 minuti in piano sequenza…Una grande idea di regia e di scrittura. Con lui potevo fare cose che non posso fare con nessun altro.

Se potessi avere un potere quale sceglieresti?

Quello di convincere le persone. Oggi per esempio lo sfrutterei per convincere tutti a vaccinarsi.

In che occasione è iniziata la collaborazione con Massimo?

L’incontro è avvenuto in un teatrino parrocchiale con una farsa di Antonio Petito. Un ragazzo che doveva interpretare il garzone che portava una sporta di salumi si ammalò. Si pensò di sostituirlo con Massimo. Doveva solo arrivare e dire poche battute. Quando salì in scena la lista dei salumi non gli veniva nel modo corretto e lui ricominciava da capo. Il suo momento, che doveva durare solo sei secondi, si trasformò in sei minuti straordinari in cui il pubblicò si sbellicò dalle risate: una fortuna per la platea di allora. Lì capimmo che il palcoscenico era il suo posto e lo capì anche lui. Ringrazio il giorno che ha sbagliato i salumi.

Se non avessi fatto mestiere?

Volevo fare il maestro elementare perché ho sempre pensato che il nostro futuro sono i bambini. Voi profumate di futuro e io volevo respirare quell’aria.

Ricomincio da tre. Un dietro le quinte di questo film?

La scena che Massimo gira al Duomo per ricontrare la ragazza fingendo che sia casuale. Io gli dissi: vedi che non è facile, ti stanchi… Lo capii appena lessi la sceneggiatura, lui disse di no e invece così fu. Girando e girando con la bici aveva il fiatone e io a ogni stacco gli portavo la bottiglia d’acqua che poi è diventata acqua e zucchero.

Perché la Smorfia?

Non siamo stati bravissimi con i titoli, neanche con quelli dei film. Scusate il ritardo Massimo lo scelse per chiedere scusa al pubblico per l’assenza dal cinema. E anche la Smorfia non era proprio bellissimo, però se pensiamo che all’inizio ci chiamavamo i Saraceni, non mi chiedete il perché, e poi addirittura i Cabinetti…

L’annunciazione e San Gennaro: cosa ricordi?

La faccia di Massimo quando entravo. Che l’Arcangelo Gabriele facesse rumore al suo ingresso in scena era stato stabilito, ma io per farne ancora di più avevo deciso di indossare scarpe speciali, quelle dei minatori, che sono notoriamente più grosse e pesanti: il baccano era quasi insopportabile. Quanto a San Gennaro, ricordo che il regista ci aveva montato questa telecamera alta alla quale ci saremmo dovuti rivolgere per l’inquadratura, in realtà solo alla fine dello sketch scoprimmo che per tutto il tempo sia io che Massimo avevamo fissato un proiettore.

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Dei personaggi che hai interpretato cosa ti resta?

Tonino di Scusate il ritardo è completamente diverso da me, ma passare attraverso il suo dolore e la sua sofferenza mi ha regalato un modo diverso guardare le persone che soffrono, a essere più presente, più sensibile. Ognuno mi ha lasciato un insegnamento e nella vita può fare comodo.

Cosa ti manca di più di Massimo?

La verità è che non mi posso più divertire come facevo con lui. Chissà se non avrebbe convertito uno dei suoi film in una serie tv, la tendenza di oggi. Io non saprei come farlo, lui sì.

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