Lincoln, una lezione di storia raccontata da Spielberg (RECENSIONE)
Con ben 12 nomination agli Oscar 2013, Spielberg è il super favorito grazie al suo ultimo lavoro, il film biografico su Abraham Lincoln, in uscita il 24 gennaio. Siamo in America, nel pieno della Guerra di Secessione che flagella gli Stati Uniti da ben 4 anni e il Presidente, forse il più amato e celebrato di tutti i tempi, è stato appena rieletto. Il suo cruccio più grande allora non era tanto il conflitto interno quanto l’approvazione del tredicesimo emendamento, legge storica grazie alla quale si sarebbe abolita la schiavitù una volta per tutte. Il regista si affida nuovamente alla storia della sua Madre Patria per realizzare un film biografico nel quale ha voluto egli stesso dare prova di sé. Un esercizio di stile, verrebbe da definirlo così, una regia impeccabile, precisa e ben studiata, forse anche troppo. A tratti l’occhio che accompagna la macchina da presa sembra prendere un taglio accademico, come se il cineasta avesse voluto rispolverare la sua vocazione primaria per confezionare un film tecnicamente perfetto.
Aiutato dalla sua squadra di sempre, Spielberg ha voluto mettere insieme i pezzi di un collage studiato maniacalmente. Il direttore della fotografia, Janusz Kaminski col quale collabora da anni e con cui ha recentemente realizzato sia “War Horse” che il film d’animazione “Le avventure di Tintin” in questa pellicola ricrea la perfetta atmosfera dell’epoca, alle volte dai toni caldi e avvolgenti, altre assecondando i colori freddi inevitabilmente richiesti da un campo di battaglia. Tony Kushner ne ha sceneggiato la storia e Michael Kahn al montaggio ha seguito il ritmo che una narrazione simile prevedeva. Lo stesso John Williams, che ha scritto praticamente tutte le colonne sonore dei film del regista, realizza anche in questo caso un tema forte, perfettamente abbinato sia ai lunghi e riflessivi dialoghi sia alle più concitate scene di guerra.
Certo, se dal punto di vista tecnico ci troviamo di fronte a un film difficilmente attaccabile, Spielberg ha forse peccato di eccessivo zelo, rischiando di ritrovarsi in mano una pellicola bella ma fredda, in cui i sentimenti stentano a venire in superfice. Ma a questo problema fortunatamente, pone rimedio un cast stellare. Se doveva essere inizialmente Liam Neeson il protagonista del film, che aveva firmato appena il progetto fu avviato nel 2005, successivamente, d’accordo con il regista, fu lo stesso Neeson a lasciare il ruolo perché oramai troppo anziano, permettendo a Daniel Day-Lewis di calarsi nei panni di una delle sue migliori interpretazioni degli ultimi anni. Ci ritroviamo di fronte a un Lincoln stanco e allo stesso tempo pregno del fascino dei grandi personaggi storici. Day-Lewis si mette in gioco a favore di dialoghi interminabili, sorretti con il massimo della naturalezza, senza mai apparire impostato.
C’è da dire che se la sua interpretazione è encomiabile, chi lo accompagna non è da meno. Dalla moglie del Presidente, a cui presta il volto la due volte premio Oscar, Sally Field, che tiene testa a un protagonista così prorompente e riceve anche quest’anno una nomination dall’Academy, fino a un mostro sacro come Tommy Lee Jones, anch’egli candidato come miglior non protagonista. L’attore, che veste i panni del repubblicano Thaddeus Stevens, bilancia il peso dell’attenzione che Day-Lewis inevitabilmente accentra su di sé, modellando un personaggio carismatico e in continuo mutamento, al quale vengono affidate le battute di spicco e che senza dubbio riceverà le simpatie del grande pubblico. In definitiva ci troviamo di fronte a un film apparentemente facile, che stenta a prendere il ritmo nella prima mezz’ora e che raggiunge un crescendo sempre più concitato, pur essendo sviluppato su poche scene d’azione e molti dialoghi. Una pellicola che sicuramente gli Americani sapranno apprezzare meglio di chiunque altro.