Tengo a dichiararmi per tempo sostenitore di Lo chiamavano Jeeg Robot, uno dei film italiani più intelligenti, innovativi e divertenti degli ultimi anni. Gabriele Mainetti, supportato dagli amici-complici sceneggiatori Guaglianone e Marchionni, vi mette infatti in scena l’epifania di un supereroe, il raddrizzatorti suo malgrado Enzo Ceccotti da Tor Bella Monaca, che ha il merito di risultare umanamente credibile e significativo anche per lo spettatore che ai film fantasy e al mitico mondo di Hiroshi non si è mai sognato d’interessarsi. Il segreto è semplice, una bella trama e dialoghi strepitosi.
Lo chiamavano Jeeg Robot esibisce una crudezza noir che si mescola al romanticismo dei folli; un leitmotiv grottesco e pop che mitiga la brutalità criminale; la fantasia dei manga giapponesi che s’insinua nel cinismo dell’odierna Roma e la desolazione delle sue borgate. Il bonus superlativo arriva grazie alle recitazioni: Claudio Santamaria da standing ovation, Luca Marinelli degno dei più sinistri killer hollywoodiani, Ilenia Pastorelli che aggiorna a modo suo la devastata innocenza degli emarginati.
Altro che polpettoni Rai e Mediaset. Altro che commedie fotocopiate grondanti battutine per scimuniti. Altro che facili sociologie esibite come lasciapassare d’autore. Riprese, ambientazioni, numeri musicali, effetti speciali perfettamente coesi, invece, per assicurare una sniffata di puro cinema che farà in modo che gli spettatori restino incollati alla poltrona sino allo scorrere dei titoli di coda.
Corri ragazzo laggiù/vola tra lampi di blu/corri in aiuto di tutta la gente/dell’umanità…