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Martin Scorsese racconta: “Al Pacino aveva paura di morire prima di vedere The Irishman finito”

Dal 4 al 6 novembre esce nelle sale The Irishman, l’ultima pellicola di Martin Scorsese. Il film dopo questo breve passaggio nei cinema passerà su Netflix, che ha prodotto l’intero progett in digitale. In occasione del debutto, Martin Scorsese in una lunga intervista al Corriere della Sera ha parlato del film e di quanto abbia imparato dalla realizzazione di questa nuova fatica cinematografica.
A cura di Ilaria Costabile
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Il debutto di "The Irishman", l'ultimo film di Martin Scorsese è attesissimo da i fan del regista che si aspettano di trovarsi dinanzi ad un capolavoro che secondo alcuni potrebbe essere anche il testamento cinematografico del noto cineasta, che ha firmato nel corso della sua carriera numerosi film di incredibile successo. In occasione della sua ultima fatica è stato intervistato dal Corriere della Sera, a cui ha rivelato alcuni aneddoti interessanti afferenti alla produzione del film.

Un lungo lavoro di produzione

The Irishman non è un film come tanti, è un film con cui il suo regista ha voluto imprimere un taglio diverso alla sua produzione cinematografica, partendo dalla scelta di affidare questa produzione a Netflix, significativa per un professionista del suo calibro. Scorsese si racconta e rende note tutte le componenti che, a suo avviso, hanno reso questa pellicola un mix equilibrato di amore, intrighi, criminalità e morte. La mortalità è un tema delicato, un tema che gli interpreti di The Irishman non hanno esitato ad affrontare, vista la lunga gestazione del film, come racconta Scorse al quotidiano:

Quando Bob (De Niro) e io abbiamo deciso di raccontare questa storia, ho pensato che avremmo potuto imparare qualcosa anche alla nostra età — abbiamo tutti e due 76 anni — e accettare l’idea della mortalità, ammesso che sia possibile farlo. Imparare a vivere con questa consapevolezza. Io glielo ho anche detto esplicitamente: lui mi guardava e annuiva. A un certo punto Al Pacino, che ha due anni più di noi, mi ha detto: “Spero di vivere abbastanza a lungo per vedere il film finito” per via del tempo lunghissimo, cinque anni, che c’è voluto per sviluppare la tecnologia digitale di ringiovanimento. Ma ce l’ha fatta, grazie a Dio.

The Irishman affonda le mani nella vita vera

Tralasciando il commento dal sapore filosofico ciò che rende il film, in uscita nelle sale dal 4 al 6 novembre per poi approdare su Netflix, ancor più interessante della storia in sè, è il fatto che affondi la mano nella storia recente, tingendola di sangue, di affari loschi e offrendo al pubblico il ritratto di figure realmente esistite come quelle di Frank Sheeran e di Jimmy Hoffa. E questo attaccamento alla realtà si sente, si percepisce ed è quello che conferma pienamente Martin Scorsese, affidando alla sua pellicola il merito di aver fatto un salto all'indietro anche nella sua vita:

The Irishman ci ha permesso di guardare indietro alla nostra vita. Sia io che Bob abbiamo potuto fare i film che abbiamo voluto, siamo diventati famosi. E adesso? Cosa altro ci aspetta? Abbiamo imparato qualcosa? Certamente siamo stati testimoni di un periodo molto stimolante. Io quegli anni li ho vissuti fino in fondo senza fidarmi delle ideologie. Avevo voglia di credere in una società ideale, in un’utopia. Lo volevo veramente anche se ho scoperto che non esiste. Ho fatto del mio meglio, credo, imparando il rispetto reciproco, come sono fatte le persone. Con molta curiosità nei confronti della vita

La politica entra nel film di Scorsese

Non si può negare l‘impronta politica del film firmato dal noto regista, una particolarità piuttosto inusuale, considerando che finora nessuno delle sue opere è stata connotata politicamente, per una scelta consapevole dettata dall'incapacità di gestire degli avvenimenti importanti: "Io mi sono tenuto sempre lontano dalla Storia contemporanea, dai grandi eventi. Ci sono stati grandi autori capaci di farlo, come il vostro Francesco Rosi con Salvatore Giuliano o Il caso Mattei. Io non sono capace. A casa mia non si è mai parlato di politica, se non di Roosevelt e della Grande Depressione. Nel mio film seguo quello che ha scritto Charles Brandt a proposito della fine di Jimmy Hoffa ma non voglio spacciarla per verità. Alla fine, la politica non c’entra: tutto si restringe al fatto che deve tradire la persona cui vuole più bene. Tutto resta focalizzato sull’individuo, sul dilemma umano, sul conflitto morale". 

La polemica sui film Marvel

In una delle ultime interviste rilasciate dal cineasta, alcune delle sue dichiarazioni relative ai film della Marvel avevano suscitato una certa polemica. Il regista aveva dichiarato che i film con protagonisti i supereroi potevano essere fuorvianti per le nuove generazioni, affatto abituate alla visione di un film canonico, cosa che andrebbe a ledere la loro capacità critica

L’ho detto e lo confermo. I parchi di divertimento sono luoghi fantastici quando si è bambini, ma poi si cresce. Non sto dicendo di non fare i film della Marvel, dico solo: lasciate un po’ di posto anche ai nostri film. Lo dico perché sono preoccupato del fatto che tutto ruoti sempre intorno al concetto di super uomo, di Übermensch: se ci sono solo quei film, i ragazzi penseranno solo in quel modo, dimenticando che un essere umano a volte deve prendere delle decisioni che non vorrebbe prendere, che esistono le contraddizioni, che il mondo non si divide solo in buoni o cattivi. Voglio che i giovani sappiano che quei film non sono vero cinema, sono un’altra cosa. Ma se non possono vedere gli altri film, come possono capirlo.

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