Megan Fox e Shia LaBoeuf in Transformers 2-La vendetta del caduto
Michael Bay è uno dei registi più controversi dei nostri tempi, odiato dalla critica e dai cinefili ma latore di grandi incassi prima a Jerry Bruckheimer e a ora a Steven Spielberg (pronto a girare War House) e con il primo Transformers, era riuscito a dare l’impressione che – oltre ad essere un artificiere della settima arte, vista la sua mania per esplosioni e fuochi d’artificio vari – fosse anche un regista. Impressione che si è premurato di smentire con questo secondo film ispirato ai robot giocattolo della Hasbro, capace di vanificare col suo svogliato titanismo ogni pregio del primo capitolo. Ormai Sam sta per entrare al college e nel trasloco deve lasciare Mikaela da sola: non lascerà però i guai che lo perseguitano. Infatti i Decepticons sono tornati alla ribalta, visto che il Caduto – mitologico predecessore della stirpe – sta per risorgere, e gli Autobot hanno nuovamente bisogno di Sam per risolvere la cosa.
La fantascienza e l’action-comedy del primo film lasciano spazio, nella brutta sceneggiatura di Ehren Kruger, Roberto Orci e Alex Kurtzman, a un arzigogolato impianto fantasy che ammicca contemporaneamente a Terminator, Indiana Jones e Tolkien diventando un malloppo di notevole pesantezza. Il film in questo senso è figlio legittimo dello spirito del suo regista, in cui la retorica militarista e patriottica tipica di certo cinema americano (il modo in cui mette in scena i soldati e li dipinge riporta ai Berretti verdi di John Wayne) si sposano con l’atmosfera apocalittica di chi ancora non è riuscito a fare i conti con l’11 settembre, mescolando in modo improprio fede religiosa e guerra, misticismo epico e, in ultima istanza, intenti puramente commerciali.
Conditi, ovviamente, da scene d’azione e combattimento interminabili e freddissime (l’ultima mezz’ora – se non di più – in Egitto è ridicolmente prolissa), tocchi di umorismo stucchevoli e del tutto fuori contesto (la replica della scena in giardino, la mamma al college, i due robot che litigano) e da fastidiosissime autocitazioni narrative – l’attacco alle portaerei come in Pearl Harbour – o visive – il poster di Bad Boy. Il difetto principale del brutto script è nella sgangherata costruzione narrativa, in cui l’inutile e banale impianto fantasy rallenta, anzi rende praticamente nullo, ogni intreccio, tanto che dopo metà film – in cui scioccamente arriva il climax emotivo – i personaggi svaniscono e restano solo i robot, le loro vacue parole e più di un’ora di esplosioni. Per carità, l’arsenale esplosivo è realizzato ad arte dai responsabili della ILM, ripreso dal regista abbondando in (onnipresenti) carrelli circolari e campi lunghissimi, ma Bay non riesce a donare vita, solidità ed equilibrio al tutto; tanto meno attendibilità, visto che non riesce a trasformare in personaggi quei disegni animati che invadono lo schermo (per non parlare delle figurine in carne e ossa, si salvano solo la prima mezz’ora di Shia La Boeuf, che parteciperà al quinto film di Indiana Jones, e qualche siparietto di John Turturro). Indietro di anni rispetto alla Pixar o al solo Terminator. Per chi si accontenta però si possono trovare blande inquadrature sexy di Megan Fox, che ha dedicato a Mickey Rourke il suo nuovo tatuaggio, e rumore oltre ogni limite: a ciascuno il suo.
Emanuele Rauco