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Pierfrancesco Favino: “Non mi sento migliore di nessuno”

Pierfrancesco Favino è al cinema con il film Promises. Ne parla in questa intervista a Fanpage.it, rivelando che gli piacerebbe lavorare con Virzì, Sorrentino e Garrone. “Sanremo è stata la mia fortuna, sarei stupido a non dirlo” e apre all’ipotesi di uno show Rai con Baglioni.
A cura di Eleonora D'Amore
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Il nuovo film di Pierfrancesco Favino è al cinema. Si intitola Promises e vede alla regia Amanda Sthers. Al suo fianco, l'attrice Kelly Reilly e Jean Reno. Un'altra grande prova d'attore in un momento d'oro della sua vita artistica: tutti vogliono Favino, al cinema come in tv, e questo apre a un fisiologico bilancio.

Il risultato di 30 anni di lavoro e di un fortunatissimo Festival di Sanremo, che lo ha consacrato definitivamente al grande pubblico. In questa intervista rilasciata a Fanpage.it, il noto attore parla dei registi italiani con i quali gli piacerebbe lavorare, del suo rapporto con la cucina e con le evoluzioni dell'uovo di seppia fatto a Dinner Club, e della proposta di insegnamento di cinema nelle scuole fatta ai Premi David di Donatello.

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Cosa del personaggio di Alexander è riflesso in te?

Sicuramente una tendenza all'idealismo, al romanticismo, anche in qualche modo a rifugiarsi nella fantasia, all'amicizia. Di diverso da me invece c'è sicuramente la capacità che lui ha di prendere delle decisioni a volte di petto, anche se queste possono far male agli altri, e anche un certo tipo di caparbietà nel procrastinare che non mi appartiene.

La vita vera non è una commedia romantica?

Mah, ogni tanto la vita vera sembra una commedia romantica e viceversa. Anche se la realtà non sempre si rivela all'altezza.

Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly in Promises
Pierfrancesco Favino e Kelly Reilly in Promises

Alexander e Laura hanno spesso dei dialoghi molti intimi, non parlati. Tra loro c'è una fisicità assente. Che prova è per un attore?

Io amo molto la possibilità di non dover per forza parlare. Non penso ci sia un modo, penso che ci sia un insieme di cose. Se tu mi chiedi com’è essere uovo quando sei una crostata, ti rispondo che fino a quando sono uovo per conto mio è un conto, diverso è se devo mettermi a disposizione per far sì che quella crostata venga bene.

Un amore che non esiste mai in realtà non può mai finire?

Un po' sì ed è anche il rischio di un amore che vivi da solo. È una proiezione, quindi può diventare non solo eterna ma che non sfiorisce mai, perché non ha mai la riprova della vita. Come Il ritratto di Dorian Gray, è un patto col tempo, un protagonista assoluto della nostra storia.

A tal proposito, stai vivendo un tempo molto bello. In un momento in cui tutti vogliono Favino, Favino chi o cosa vuole? 

Allora io penso che questa cosa sia dovuta innanzitutto a un momento fortunato, poi anche a una fase di raccolta. Quest’anno sono 30 anni che faccio l’attore e lo faccio stando attento a costruire un rapporto di fiducia con il pubblico. Certamente il mio passaggio a Sanremo è stato fondamentale, sarei stupido a non dirlo e a non saperlo. Come facevano gli attori di una volta, sono entrato nelle case degli italiani quando loro erano in déshabillé, in un elettrodomestico di loro proprietà, ed è giusto che mi percepiscano come uno di famiglia.

Senti forte l'aspettativa di un pubblico così ampio?

Non penso mai a fare le scelte che faccio pensando quanto dovranno andare bene. Neanche Picasso ha mai fatto tutti capolavori e chiedere a un artista di centrare l'obiettivo ogni volta significa snaturare quello che è il nostro mestiere, che vive fortunatamente di tante cose che non sono prevedibili.

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Quindi in questo momento, cosa e chi vuoi?

Chi voglio non lo so. Ci sono tantissimi registi italiani con i quali avrei voglia di lavorare.

Il prossimo?

Mi piacerebbe lavorare con Virzì, con Sorrentino, Garrone, ma anche con dei giovani che stanno emergendo, semmai perché mi propongono una storia per la quale impazzisco. Non si può forzare la mano su certe cose, io non so che cosa pensano questi registi di me e non è detto che gli attori vadano bene per tutti i registi o viceversa.

Rispetto a Sanremo, Claudio Baglioni vorrebbe fare uno show in prima serata solo con te. Ipotesi plausibile?

È una cosa che ci diciamo da tanto tempo. Io ho un grandissimo affetto per Claudio, una grandissima riconoscenza, però siamo entrambi estremamente esigenti, con noi stessi prima di tutto, e devono esserci anche le condizioni.

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Non c’è una bozza di progetto quindi?

No nel senso che ci sono chiacchiere tra di noi in cui stiamo insieme e ci diciamo “eh però potremmo, eh però forse…”. Magari succederà, vediamo.

Al Festival ti abbiamo visto conquistare tua moglie in platea con un panino. A Dinner club hai voluto fare l’uovo di seppia, un piatto difficilissimo. Dov’è l'anima del vero Favino in cucina?

In generale, a me piace stare in cucina, mi piace tanto. È una delle cose che mi rilassa di più in assoluto, mi piace cucinare per gli amici, mi piace cucinare per la famiglia. A Natale cucino per 30 persone, amo andare al mercato a scegliermi i prodotti. Un po’ divido il mondo tra quelli che accudiscono e quelli che vengono accuditi, senza classifiche, e io sono un accuditore. Mi piace molto esserlo.

Ma l’uovo di seppia l’hai più rifatto dopo?

L'ho rifatto, piano piano sto facendo variazioni. Prima chiamavo mamma, ora chiamo direttamente Carlo Cracco. È come se hai la possibilità di chiamare Armani se ti si sfila un bottone: "Giorgio, aiutami, ma come si mette…" (ride, ndr). 

Pierfrancesco Favino e Carlo Cracco a Dinner Club
Pierfrancesco Favino e Carlo Cracco a Dinner Club

La proposta di insegnamento di cinema nelle scuole fatta ai David è andata avanti?

No, di più. È una proposta che insieme a Unita, che è l’associazione di attori di cui faccio parte, è in azione. Però non proponiamo di insegnare cinema o teatro nelle scuole, bensì di insegnare tecniche cinematografiche e teatrali che possono aiutare i ragazzi ad essere più interessati rispetto a Promessi Sposi, fisica, storia e così via. Il ministero ci sta ascoltando e faremo un primo tentativo in quest'anno e mi auguro possa essere sempre più ampliato alle scuole d'Italia.

Nel concreto, didatticamente cosa vorreste fare?

Stiamo semplicemente mettendo a disposizione quelle che possono essere delle tecniche del nostro lavoro che sono più vicine al mondo di oggi e che ascoltano quelle che sono le soft skills che l'Europa ci chiede, che qualsiasi azienda chiede a un neo laureato. Vogliamo fornire strumenti che non siano solo legati all'apprendimento mnemonico, ma che siano quelli dell’apprendimento maieutico, che contemplino la possibilità di sviluppare la coscienza critica della persona, attraverso il desiderio di tirare fuori ciò che pensa del mondo e non ciò che gli/le si impone.

Un approccio più speculare a questi tempi digitali? 

Assolutamente. Ogni ragazzo oggi ha nella sua tasca una macchina da presa, legge la realtà attraverso il video e molto meno, purtroppo, attraverso la parola, immagina la letteratura in termini filmici. Le serie televisive sono il nuovo romanzo, per riappassionarli al romanzo non si può negare l'esistenza del loro mondo. Il videogioco ha la struttura di Omero, Assassin's Creed per loro è l'Odissea e, se riusciamo a creare questo ponte contemplando i loro linguaggi, gli piacerà sia Assassin's Creed sia l'Odissea.

I giovani sono la speranza del domani. Qual è lo stato di salute delle tue in questo momento?

Buono dal punto di vista personale, sono solo colpito dall’aggressività di quello che mi circonda. Scelgo di non partecipare a un certo tipo di vocabolario perché non mi rappresenta, non mi sento migliore di nessuno, non mi sento di poter pontificare, già faccio fatica a stare qui a parlare come se le mie parole avessero un peso. Credo però e continuerò a credere nello scambio e nella collettività. Non è una fiducia nostalgica la mia, è una necessità: io da solo non mi basto e non mi interessa chi mi dice che io da solo mi devo bastare per star bene con gli altri. Secondo me è una grandissima cazzata.

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