Renato Pozzetto: “A 80 anni ho nostalgia della vita, non del lavoro. Non rivedo mai i miei film”
"Ho raccontato tutto quello che potevo raccontare", dice Renato Pozzetto quando gli propongo un'intervista in occasione dei suoi primi 80 anni. A primo impatto una risposta scostante, come a sottintendere non ci sia altro da chiedergli oltre quello che gli è stato già chiesto. Gli spiego che sono un appassionato di tutto ciò che ha fatto, che il frasario delle mie conversazioni con gli amici è spesso condito delle sue storiche sue battute e allora la prospettiva cambia, si mostra più propenso e capisco che, più che ostilità, quella iniziale era una forma di modestia, uno slalom per evitare autocelebrazioni e sbrodolamenti. Non è esattamente un chiacchierone e non si perde in voli pindarici, Pozzetto, le sue sono risposte stringate, che vanno subito al punto, ma come si fa a non celebrare uno che ha allargato il campo della comicità, fautore di una risata che arriva un secondo dopo quella di pancia, ma che resta nella mente ben oltre quella di pancia?
Renato, a 80 anni si fanno dei bilanci oppure non gliene frega nulla?
Il bilancio della mia carriera in breve è piuttosto semplice: ho iniziato con Cochi cantando nelle osterie, poi in una galleria d'arte, poi in un cabaret. Con Jannacci abbiamo creato il Gruppo Motore e poi siamo andati al Derby, dove siamo rimasti 7-8 anni. Poi c'è stata la televisione e ancora il cinema. Se tutto fosse andato male non avremmo fatto le cose che abbiamo fatto.
Il sentimento dominante dell'era che viviamo sembra essere la nostalgia. Lei ne prova?
A 80 anni, se hai vissuto, la nostalgia è un fatto naturale. Ma non ho nostalgia del mio lavoro. Ce l'ho per mia moglie, alcune storie personali, no di certo per il cinema.
Si rivede spesso nei suoi film?
Non mi guardo mai e non vado mai al cinema. Saranno 40 anni che non ci vado.
Ho l'impressione che lei all'improvviso abbia deciso di stare in disparte, magari perché allergico a una certa mondanità. È un'impressione sbagliata?
Non è esattamente così. Con Cochi abbiamo fatto molto teatro ultimamente e sto preparando un film con Pupi Avati.
La comicità di questi tempi è oggetto di grande discussione. Secondo lei c'è qualcosa di cui non si può ridere?
Beh abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo una situazione che ha fatto migliaia di morti e ne prevede altri, è difficile ridere di questo tempo, o almeno è ancora presto per farlo. L'umorismo di solito segue i tempi e con i tempi cambiano anche gli umori e le cose di cui si può scherzare.
A proposito di sensibilità che cambia, se lo ricorda il finale del suo sketch in Grandi Magazzini con quella frase: "ho scoperto che mi piace il pesce"?
Quella in cui lascio intendere di essere gay e rimango a vivere in barca?
Esatto. Ad esempio per quella stessa frase, oggi, qualcuno storcerebbe il naso.
Era un doppio senso provocatorio, ma c'è molto di peggio. Dopodiché noi siamo attori e ci proponiamo, poi è il pubblico che sceglie.
Cochi è praticamente un fratello per lei, fortunata fu la coppia con Villaggio, ma un altro sodalizio importante è stato quello con Celentano. Vi sentite?
Ci siamo sentiti come si faceva tra colleghi, ma oggi non accade spesso, non è che si fa un film insieme e allora si diventa per forza amici. Ognuno ha la propria vita, la propria storia.
Tra voi c'era un'intesa particolare…
I film con Adriano sono andati molto bene e ci siamo divertiti perché in effetti tra noi c'era un codic comune in termini di comicità.
"Taac", "eh la Madonna", "iattattà" e quella mossa con le gambe. La sua carriera è costellata di grandi tormentoni, la inorgoglisce oppure crede che questa cosa sia limitante?
Non siamo mai stati alla ricerca di grandi tormentoni. C'erano frasi che lasciavano intendere di poter rimanere tra il pubblico. Abbiamo trascorso una vita a recitare, a scrivere, poi magari alcune cose rimanevano più di altre. Ma non ho mai fatto cabaret o cinema perché si ricordasse solo una frase.
C'è qualcosa che non le è riuscito di fare al cinema e in televisione?
Una cosa che non mi è riuscita è quella di portare nel cinema un po' di linguaggio del cabaret. Diciamo che tutte le sceneggiature proposte erano piuttosto scontate, pur essendo ben scritte e molto riuscite. Ci ho provato, ma non ce l'ho fatta.
C'è ancora tempo…
Chissà. Per ora ringrazio tutti del tempo che mi è stato dedicato.