“The Act of Killing”: il documentario sul genocidio indonesiano destinato all’Oscar
“The Act of Killing – L’atto di uccidere” sta impressionando il mondo e conquistando premi su premi da ben due anni. Il film-documentario, diretto dallo statunitense Joshua Oppenheimer coadiuvato da Christine Cynn e da un terzo co-regista anonimo, è uscito nel settembre 2012 ed è diventato subito un caso cinematografico. In Italia è arrivato nel 2013, presentato al Biografilm Festival di Bologna, dove ha vinto il Lancia Award per il Miglior film. E’ impossibile elencare tutti i premi vinti finora, ma i più importanti sono: il Panorama Audience Award e il Premio della Giuria Ecumenica al Festival di Berlino 2013; L’Asian Pacific Screen Awards e il BAFTA 2014.
La messinscena ideata da Oppenheimer è il fattore che sconvolge di più. Il regista si è recato in Indonesia a cercare un gruppo di pentiti, ex-membri degli squadroni della morte, capitanati da Anwar Congo, che nel 1965 salirono al potere. Tutti quelli che vi si opponevano erano chiamati “comunisti” e venivano imprigionati, torturati e uccisi. Questi signori vengono invitati a ricostruire i delitti di cui si sono macchiati mettendoli proprio in scena nello stile dei film americani che amano tanto e che sono stati fonte d’ispirazione per le loro atroci e “creative” uccisioni. Con l’aiuto del governo, più di un milione di persone vengono assassinate, ma il numero sale se si contano quelle scomparse.
Quel mondo ripreso da Oppenheimer non ha nessuna vergogna o rimorso. Quegli uomini, ora anziani, che raccontano le sevizie e le uccisioni passate, lo fanno con estrema naturalezza ed entusiasmo, quasi come fossero giochi di gioventù. Il regista, quindi, fondendo realtà e fantasia, da vita ad un viaggio quasi surreale in uno stato che oggi si definisce Repubblica democratica presidenziale ma che permette ancora l’esistenza di un gruppo paramilitare che raccoglie tutti gli assassini di quei terribili anni, acclamati quasi come eroi. La strada verso l’Oscar 2014 è praticamente spianata, ma l’ambita statuetta andrebbe in mani decisamente degne.