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Venezia 70, il concorso: Nicolas Cage in Joe e il nuovo Gröning

Seconda giornata di concorso: “La moglie del poliziotto” di Philip Groning e “Joe” di David Gordon Green.
A cura di Daniela Scotto
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Il racconto di una famiglia infelice e prossima alla catastrofe si può affrontare in tanti modi, ma chi conosce Philip Gröning sa che l’esasperante lunghezza, entro la quale trovare spazi per la poesia, è la principale matrice di uno stile personale che abbiamo imparato a conoscere da Der Grosse Stille (Il grande silenzio, 2005) in poi.

“La moglie del poliziotto” è suddiviso in 59 capitoli per un totale di 175 minuti: un susseguirsi di still life per immortalare una vicenda familiare entro la quale serpeggia, in una prima ora di non detto, la violenza ed il terrore, prima dell’esplosione finale (a singhiozzi). Ora, perché mai un storia così importante, quella di una donna che cerca di difendere se stessa e sua figlia dagli scoppi improvvisi e allucinanti di violenza del marito, venga spezzettata fino all’esasperazione, diventa semplicemente una questione di forma e non di contenuto. A Gröning non interessa la fruibilità e questo è evidente, ma piuttosto di perpetrare uno stile narrativo dilatato nel tempo e attento fino alla morbosità ai dettagli, quindi, il film resta un prodotto esclusivo per chi riesce a condividerne una visione senza dubbio poetica ma dal compiacimento esageratamente cinephile.

Ancora il ritratto di una famiglia disperata nell’altro film in concorso del giorno, “Joe” di David Gordon Green, interpretato da Nicolas Cage, definito come western, ma che forse somiglia più alla ballata triste della peggiore America, quella sconosciuta fin quando clamorosi casi di cronaca non la portano alla ribalta. Il Texas in cui Joe esercita la sua morale violenta potrebbe essere identica alla provincia di Cleveland in cui si possono tenere segregate delle ragazze in casa per 10 anni senza che nessuno sappia nulla, una waste land di trucks, sigarette, lavori giornalieri ma soprattutto, fiumi di alcol pronti a lavare via ogni possibilità di relazione affettiva. Nicolas Cage è l’antieroe locale (tanto per cambiare) che accoglie dentro di sé i disagi esistenziali di chi non condivide la legge del più forte ma non ne può fare a meno, con l’espressione di chi è entrato ed uscito dall’inferno per il bene nostro e di tutto il circondario. Il suo rapporto paterno con il giovane Gary è la classica ultima possibilità di “fare qualcosa di buono”, a discapito ovviamente della propria, oramai irreprensibile pelle. Giusto qualche gradino in più rispetto ai film visti tanto per esercitarsi contro il disturbo d’attenzione, ma poche sensazioni a fior di pelle.

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