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Vincent Cassel: “I doppiatori italiani sono una mafia”

L’attore, nelle sale italiane con il film francese “Un momento di follia”, attacca duramente il doppiaggio italiano. Arriva la replica del rappresentante della categoria Roberto Stocchi: “Si informi meglio, siamo una categoria di professionisti che lavora onestamente”.
A cura di Valeria Morini
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In occasione dell'uscita nelle sale italiane di "Un momento di follia", il protagonista della pellicola francese Vincent Cassel solleva una polemica destinata a far molto discutere. L'attore transalpino si è infatti scagliato duramente contro il doppiaggio italiano.

I doppiatori in Italia sono una mafia, per questo è complicato vedere un film in lingua originale. Il doppiaggio c'è anche in Francia ma i doppiatori non hanno il potere come se fossero loro che fanno il cinema. Ci sono i creatori e i doppiatori, i doppiatori fanno il doppiaggio. Quando c'è uno sciopero dei doppiatori il cinema non si ferma.

"Un momento di follia" racconta di due vecchi amici di mezza età in viaggio in Corsica, interpretati dallo stesso Cassel e da François Cluzet. La figlia adolescente finisce per innamorarsi del primo, scatenando il putiferio.  "Una commedia drammatica", come l'ha definita l'ex marito di Monica Bellucci, secondo il quale il doppiaggio italiano avrebbe danneggiato il film. Nella versione nostrana, infatti, viene a perdersi l'accento còrso del personaggio interpretato da Cluzet, il che rovinerebbe parte del film.

La replica: "Siamo professionisti, Cassel si informi"

A Cassel risponde prontamente Roberto Stocchi, doppiatore e direttore del doppiaggio. Voce, tra l'altro di Zach Galifianakis nella trilogia "Una notte da leoni" e di "American Dad" (è Klaus, il pesce rosso), Stocchi ha riferito all'Adnkronos:

Il signor Cassel è male informato, non c'è alcuna mafia nel mondo dei doppiatori italiani. Siamo una categoria di professionisti che fa onestamente il proprio lavoro e che certe volte rende giustizia ad un film con bravissimi attori: lo rendiamo in italiano senza sfigurarlo. Il signor Cassel dovrebbe informarsi un po' meglio, da noi non c'è alcuna mafia. Il nostro lavoro va a coprire una lacuna che si riscontra in una fetta del mercato formata da spettatori che non conoscono le lingue, come ad esempio gli anziani. Spettatori che, altrimenti, non potrebbero vedere alcuni film. Ci sono, d'altronde, pellicole che appartengono a culture orientali, come quella giapponese o araba, difficili da seguire con i sottotitoli. La nostra categoria si difende da sola, non perché è una mafia ma con la qualità del suo lavoro.

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