Woody Allen: “Denunciarmi è una moda, penseranno per sempre che sono un predatore”
Dopo aver raccontato la sua verità nel libro autobiografico "A proposito di niente", uscito ad aprile, Woody Allen torna a parlare anche in un'intervista rilasciata al Guardian in occasione dell'uscita in streaming nel Regno Unito del suo ultimo film "Un giorno di pioggia a New York". L'argomento, immancabilmente, sono accuse di molestie alla figlia Dylan Farrow. Malgrado le indagini lo avessero prosciolto, ormai quasi 30 anni fa, di recente lo scandalo è tornato a squassare la vita del regista 84enne, che si è sempre proclamato innocente e nel corso degli anni ha parlato pochissimo dell'argomento e si è sempre rifiutato di avviare una causa per diffamazione.
Presumo che per il resto della mia vita un gran numero di persone penserà che io sia un predatore. Tutto ciò che dico sembra egocentrico e difensivo, quindi è meglio se mi limito ad andare per la mia strada e a fare il mio lavoro. Non pagherò per intentare una causa. Voglio davvero essere cibo per tabloid per due anni e andare in tribunale? E me ne importa davvero?
Il caso delle presunte molestie
Era il 1992, quando si scoprì che Allen, 57 anni, aveva una relazione con la 21enne Soon-Yi Previn, figlia adottiva dell'allora compagna Mia Farrow. Durante l'inevitabile separazione, la Farrow lo accusò di aver aggredito sessualmente la loro figlia adottiva di sette anni, Dylan. Da allora, sia quest'ultima che l'altro figlio della ex coppia, Ronan (autore delle inchieste del MeToo) non parlano con Allen e Dylan, di recente, ha confermato l'aggressione, riportando clamorosamente l'attenzione sul regista con effetti catastrofici: Amazon ha rotto il contratto, "Un giorno di pioggia a New York" non è stato distribuito in Usa e il suo libro autobiografico è stato ritirato dalle stampe (è invece uscito in Italia, dove sta andando benissimo). Come se non bastasse, diversi attori che avevano lavorato con lui come Timothée Chalamet, Ellen Page, Mira Sorvino o Greta Gerwig, lo hanno rinnegato. Una situazione che Allen, come già fatto nel suo libro, commenta con ironia:
È sciocco. Gli attori non hanno idea dei fatti e si aggrappano a una posizione pubblica e sicura. Chi al mondo non è contrario alla molestia infantile? È così che per attori e attrici denunciarmi è diventata la cosa alla moda da fare, come se improvvisamente tutti si mettessero a mangiare il cavolo.
Per Allen le accuse furono una vendetta di Mia Farrow
Gli effetti sul lavoro, però, non sembrano infastidire Allen, che rimpiange soprattutto di non poter parlare con Dylan e Ronan: "Da quel punto di vista, non sono arrabbiato. Sono arrabbiato per non aver avuto la possibilità di vedere i miei figli crescere e sono arrabbiato per quello che è stato fatto a Dylan e Ronan. Non dico una parola ai ragazzi da oltre 25 anni e sono stati educati a pensare al peggio di me". Allen è invece in ottimi rapporti con un altro figlio della Farrow, Moses, la cui testimonianza redatta qualche anno fa potrebbe essere la chiave dell'intera faccenda: il ragazzo sostiene che la madre Mia abbia convinto Dylan di essere stata molestata, facendo a lei e a Ronan "il lavaggio del cervello". La teoria di Moses è corroborata anche dai risultati delle indagini dell'epoca, che dedussero come non ci fosse prova di molestie da parte del regista. Allen è tuttora convinto che si sia trattato di una vendetta messa in atto dalla Farrow, per via della sua storia con Soon-Yi, che è tuttora sua moglie e con cui ha adottato due figlie.
Ho capito che [la relazione con Soon-Yi] ha avuto un impatto drammatico e non era normale: ho capito che fosse criticabile. Ma riguardo a queste false accuse che hanno danneggiato la vita psicologica di Ronan e Dylan, non penso nemmeno per un secondo di essermele meritate.