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“Priest – Il Prete”, La recensione

Il regista Scott Charles Stewart e Paul Bettany ci portano tra vampiri, terre desolate, scontri religiosi, dove tutto è lecito e la Chiesa è l’unica detentrice del potere. Ma ristabilire l’ordine sembra ormai impossibile.
A cura di Ciro Brandi
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priest

Il fim è basato sul romanzo grafico coreano “Priest”, di Hyung Min Woo, pubblicato dal 1998 fino al 2007. Alla regia troviamo Scott Charles Stewart e come protagonista Paul Bettany. Entrambi hanno già lavorato insieme per il poco fortunato “Legion”, ma stavolta il progetto sembra più curato ed elaborato. La pellicola è un horror post-apocalittico, che mescola il genere western con i temi religiosi.

Il plot è molto interessante: dopo una lunga guerra tra uomini e vampiri, il mondo si è quasi estinto, restano solo macerie. I pochi superstiti vivono in una città barricata dove la Chiesa ha il controllo di tutto. Per  il prete Ivaan Isaacs (Paul Bettany) lo scenario cambia quando un gruppo di vampiri rapisce sua nipote, scatenando in lui un’estenuante caccia ai colpevoli, contro gli ordini della sua organizzazione. Ad affiancarlo nell’impresa ci sono il fidanzato della nipote, lo sceriffo e una sacerdotessa molto abile nel combattimento.

Superbo il lavoro di fusione che il regista è riuscito a fare  tra location, scenografie, musiche e costumi. Per il suo "Priest" Stewart prende solo spunto dal fumetto coreano, soprattutto nelle scene dei combattimenti. Da notare il bellissimo prologo animato che c’introduce all’interno della storia, quasi per mano, fino a lasciarci nel buio più totale. Il connubio western-horror è azzeccatissimo, i rimandi a Sergio Leone si sprecano, e l’eterna lotta bene/male assume toni quasi epici. Le atmosfere rimandano a quelle del celeberrimo “Mad Max” del 1979, diretto da George Miller, con Mel Gibson. La visione della Terra devastata, spenta, scura, una sorta di enorme e desolato deserto in cui i preti guerrieri cercano di ristabilire un fantomatico ordine rifacendosi a concetti medioevali, affascina e coinvolge, senza mai annoiarci. Non si cade nella confusione (come in “Legion”), tutto procede in maniera lineare e definita.

Il duello tra Paul Bettany/Ivaan Isaacs, il prete protagonista, con tanto di tatuaggio scacciavampiri sulla fronte, e Black Hat/Karl Urban è il fulcro di tutta la pellicola, il punto in cui la contaminazione di generi raggiunge il suo culmine massimo: fantasy, horror, action, western uniti in pochi fotogrammi. Accanto a loro, c’è il giovane inesperto ed idealista, impersonato da Cam Gigandet, una sorta di colomba bianca in mezzo a migliaia di corvi, e la bellissima Maggie Q, eroina combattiva e instancabile, figura anomala tra preti guerrieri e vampiri affamati di sangue. Un applauso al grande Christopher Plummer, nei panni di Monsignor Orleas, Capo dello Stato della Chiesa, terribilmente magnetico, perfettamente nella parte.

Tralasciando il 3D, quasi inutile, il regista ha saputo creare un prodotto molto piacevole, d’impatto, grazie anche alla sensazionale fotografia di Don Burgess, continuamente in bilico tra buio e spiragli di luce, e al montaggio adeguato e dinamico. Tira aria di sequel?

Voto: 7 ½

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