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40 anni fa moriva Pier Paolo Pasolini, cineasta letterato dalla parte degli emarginati

Tutte le opere più importanti di Pasolini sono incentrate sulla denuncia dello strapotere della politica e della borghesia sul sottoproletariato e sugli emarginati, non risparmiando giudizi polemici e provocatori, costatigli 24 denunce. A 40 anni esatti dalla sua morte, il film/testamento “Salò o le 120 giornate di Sodoma” torna nelle sale, a dimostrazione che le sue idee sono, purtroppo, sempre attuali.
A cura di Ciro Brandi
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Scrittore, poeta, cineasta, sceneggiatore. Pier Paolo Pasolini è una delle colonne portanti dell’arte, del cinema e della letteratura italiani e ci ha lasciato opere d’immenso valore. Da sempre schieratosi dalla parte degli emarginati della società italiana, contro lo strapotere politico e della borghesia, Pasolini, nei suoi scritti e nei suoi film, non ha mai risparmiato giudizi crudi, polemici e provocatori, che gli sono costati ben 24 denunce e svariati processi. Personaggio odiato, amato solo dopo molti anni, giudicato anche per la sua omosessualità, Pasolini, con le sue opere ha profetizzato la degradazione della politica e della società, attraversando anni dove il consumismo e l’omologazione borghese stavano cambiando radicalmente il modo di vivere e di pensare degli italiani, soprattutto dopo il boom economico. Pier Paolo Pasolini ha portato avanti le sue idee con la forza di un guerriero, senza mai stancarsi, incassando, però, una letale sconfitta, proveniente proprio dalla società, ormai avvelenata da ideali borghesi, come dimostra la sua opera/testamento “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, del 1975.

L’arruolamento, la morte del fratello e l’impegno politico

Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922 ma, a causa del lavoro del padre Carlo Alberto, ufficiale di Fanteria, girerà per varie città italiane. Tornerà a Bologna solo nel 1937, dove frequenterà il Liceo Galvani e L’Università, e dove si appassionerà alla letteratura, al calcio e al cinema. In seguito collaborerà con varie riviste dell’epoca e pubblica le “Poesie a Casarsa”, in friuliano, ispirate al paese della mamma Susanna. Pochi giorni prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943, Pasolini è chiamato alle armi e fu costretto ad arruolarsi a Pisa. Tuttavia, riuscì a scappare dai tedeschi e a rifugiarsi proprio a Casarsa, dove si trovano anche la mamma e suo fratello Guido. Proprio quest’ultimo, due anni dopo, resterà ucciso in uno scontro con i partigiani, quando aveva solo 19 anni, e ciò spingerà Pasolini a impegnarsi in politica (PCI) e a darsi all’insegnamento.

“Ragazzi di vita”, la rivista “Officina” e le grandi opere letterarie

Il suo lavoro di scrittore continua senza sosta, ma nel 1949 viene accusato di corruzione di minori del suo stesso sesso e viene sospeso dalla scuola e radiato dal partito. Pasolini, quindi, si trasferisce a Roma e nel 1955 pubblica il suo romanzo scandalo “Ragazzi di vita”, basato sulla prostituzione omosessuale maschile. Il libro ottenne un successo clamoroso, nonostante la critica lo avesse distrutto e la magistratura di Milano avesse accolto la segnalazione del Consiglio Dei Ministri, che definiva il romanzo “pornografico”. Tutto ciò, non fece altro che far diventare ancora più pubblica l’immagine di Pasolini e regalargli maggiore fama e, dopo la prima rivista “Eredi”, da vita a “Officina” (1955-1959) con Francesco Leonetti e Roberto Roversi. Originale, provocatorio, restio a qualsiasi tentativo di omologazione, Pasolini mostra i suoi tratti distintivi in tutte le sue maggiori opere come “Ceneri di Gramsci”, “La religione del mio tempo”, “Teorema”, “Petrolio”, “Orgia”, “Affabulazione” e in tantissimi altri saggi e articoli, raccolti nelle “Lettere luterane” e negli “Scritti corsari”, specchio del suo pensiero e della sua ideologia, divisa tra pubblico e privato.

“Accattone”, il suo primo film e la sua idea di cinema

Sceneggiatore per Mauro Bolognini e Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini inizia ad affacciarsi al mondo del cinema, come regista, nel 1961, con il drammatico “Accattone”. Il protagonista è Vittorio (Franco Citti) detto, appunto, “Accattone”, un sottoproletario romano che vive alla giornata e che si fa mantenere da una prostituta. Il destino gli sarà sempre avverso, anche quando l’uomo cercherà di condurre una vita “normale”, con un lavoro e una donna che ama, trovando addirittura la morte a fine film. Naturalmente, la sua condizione è metafora di tutta quell’Italia sottoproletaria che viveva senza alcuna speranza di “rinascita”, di uscita dalle condizioni di miseria in cui versava. Il film fu presentato al Festival di Venezia dove fu duramente contestato fino ad essere ritirato da tutte le sale italiane. Appare subito chiaro che il suo cinema è diverso dal Neorealismo. Pasolini cerca di trasporre la profondità dei suoi scritti sul grande schermo, indugia sui primi piani che mostrano le rughe dei personaggi, simbolo del loro vissuto e della loro sofferenza, non c’è “azione”, le figure sono statiche come statica è la loro vita che non trova sbocco e, la maggior parte delle volte, è solo un calvario che porta alla prematura morte del protagonista.

Le grandi pellicole degli anni ’60 e ‘70

Sulla ricerca di riscatto e sull’avanzamento sociale è incentrato anche “Mamma Roma”(1962), con una straordinaria Anna Magnani, nei panni di una prostituta romana decisa a cambiare vita e a riprendersi suo figlio Ettore. L’epilogo è (semi)tragico e conferma quanto detto finora. Nel 1963 gira l’episodio “La ricotta”, uno dei quattro che compone il film “Ro.Go.Pa.G.”. gli altri registi sono Rossellini, Godard e Gregoretti. Nel suo episodio, Pasolini racconta la storia di una troupe impegnata nelle riprese di un film sulla passione di Cristo. Tra loro c’è la comparsa Giovanni Stracci (Mario Cipriani) che interpreta il ladrone buono. L’uomo regala alla sua famiglia il cestino del pranzo ricevuto dalla produzione. Affamato, Stracci riesce a rimediare, con un espediente, 1000 lire e correa a comprarsi una ricotta. Gli altri attori, però, lo invitano ad abbuffarsi con i resti del banchetto allestito per la scena dell’ultima cena. Nella scena della crocifissione, però, l’uomo muore per indigestione. Emblematico resta il commento del regista (Orson Welles): “Povero Stracci. Crepare… non aveva altro modo per ricordarci che anche lui era vivo”.

Altri film importanti sono “Il Vangelo secondo Matteo”(1964), che gli procurò un’accusa per vilipendio della religione; “Uccellacci e uccellini”, con Totò e Ninetto Davoli, nei panni di un padre e di un figlio che viaggiano in cerca di grandi ideali ma sono continuamente “disturbati” da un corvo, metafora di un periodo difficile della sinistra, vissuto dopo la morte di Togliatti. Il sottoproletario che soccombe di fronte alla società del benessere torna nell’episodio “Che cosa sono le nuvole?”, inserito nel film “Capriccio all’italiana”(1967) mentre in “Teorema”(1968), la tematica si fa più scabrosa, raccontando l’arrivo di un giovane 25enne in una ricca famiglia di industriali di Milano, che scombussolerà tutta la loro vita, anche nella sfera sessuale. In “Porcile”(1969), invece, Pasolini denuncia il potere e l’influenza negativa di alcuni genitori sulla vita dei figli, mentre con la “Trilogia della vita”, composta da “Decameron”(1971), “I racconti di Canterbury”(1972) e “Il fiore delle mille e una notte”(1974) torna a parlare della liberazione sessuale, al ritorno alle leggi della natura, non ingabbiate in vincoli educativi sbagliati e inculcati da menti borghesi e ideologie religiose bigotte e quasi dittatoriali. Purtroppo, Pasolini era già morto, per mano proprio di un “ragazzo di vita”, Pino Pelosi, assassinato in maniera brutale la notte tra l’1 e il 2 novembre, quando il suo ultimo film/testamento “Salò o le 120 giornate di Sodoma”.

“Salò o le 120 giornate di Sodoma” torna al cinema dal 2 novembre

In occasione del 40 anniversario della sua morte, proprio il 2 novembre, tornerà in 65 sale italiane e in edizione restaurata, il film “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, l’ultimo film scritto e diretto da Pasolini, presentato anche all'ultimo Festival di Venezia. La pellicola, considerata la più controversa mai girata dal regista,  è divisa in 4 parti che si rifanno, nei nomi, all’Inferno di Dante (Antinferno, Girone delle Manie, Girone della Merda e Girone del Sangue) e racconta la storia di un Duca, un Monsignore, l’Eccellenza e il Presidente che, durante la Repubblica di Salò, fanno sequestrare dei giovani, di ambo i sessi, in una villa controllata dai soldati repubblichini e dalle SS. Guidati da una pianista e da 3 vecchie prostitute e stimolati dai vari racconti, i giovani saranno usati per i loro piaceri sessuali e sodomizzati per 120 giorni, fino all’assassinio.

Nella pellicola, il potere rappresentato dalle alte cariche, ormai, usa la società come oggetto, sessuale. Si assiste, come dichiarato dalla stesso Pasolini, alla mercificazione dei corpi da parte del potere, con brutalità e sopraffazione. Riprendendo Sade e Dante, Pasolini fa convergere nell’opera il raggiungimento massimo della degradazione consumistica e la perversione capitalistica. Non mancarono, naturalmente le controversie, all’uscita del film. Proiettato prima al Festival di Parigi, quando arrivò a Milano fu sequestrato e fu aperto un procedimento verso il produttore Aurelio Grimaldi per commercio di pubblicazioni oscene. Anni dopo, viene distribuito nuovamente col divieto ai minori di 18 anni, raggiungendo la cifra record di quasi due milioni di spettatori.

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