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50 anni fa usciva “C’era una volta il West”, pietra miliare del cinema di Sergio Leone

Esattamente mezzo secolo fa, si teneva a Roma la prima del più grande film western di sempre, firmato dal maestro Leone. Il regista racconta la strada verso il progresso e l’apertura al futuro a cui è legata la figura della coraggiosa Jill, ma soprattutto di Frank, Cheyenne, Morton e Armonica, eroi solitari simbolo di avidità, vendetta, violenza, ultimi baluardi di un’epoca ormai giunta al tramonto.
A cura di Ciro Brandi
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Il 20 dicembre 1968, si teneva a Roma la prima della pietra miliare diretta dal maestro Sergio Leone, “C’era una volta il West”. Per quei pochi che non conoscessero ancora la trama, il regista racconta la storia di Jill (Claudia Cardinale), un’ex prostituta di New Orleans, torna a Flagstone dopo che il marito, l'irlandese Brett McBain (Frank Wolff) è stato assassinato dal bandito Frank (Henry Fonda), su mandato Morton (Gabriele Ferzetti), magnate che vuole costruire una lunga rete una ferrovia dall' Atlantico al Pacifico. Frank fa ricadere la colpa sul bandito Cheyenne (Jason Rinards) e Jill stessa è in pericolo, poiché unica erede di Sweetwater, pezzo di terra dove si trova la fattoria dei McBain e unica fonte d’acqua della regione, indispensabile per le future locomotive a vapore. A difenderli, però, ci penserà “Armonica”(Charles Bronson), un misterioso pistolero che cerca Frank per vendicarsi, reo di aver ucciso suo fratello l'uccisione di suo fratello compiuta da Frank. Quest’ultimo, però, rapisce Jill e cerca di costringerla a vendere la sua proprietà ad un’asta. Ma Armonica fa fallire il suo piano anche se lo salverà dall’ira di Morton, quest’ultimo assassinato, in seguito da Cheyenne. Armonica lo ha salvato solo per vendicarsi personalmente e, grazie a lui, Jill potrà proseguire per la sua strada.

La fine di un'epoca e l'apertura verso il progresso

Con “C’era una volta il West”, Leone inaugura la mitica “trilogia del tempo” che proseguirà con “Giù la testa”(1971) e “C’era una volta in America”(1984). A dire il vero, dopo “Il buono, il brutto e il cattivo”(1966), grandissimo successo internazionale, il regista romano non ne voleva più sapere di girare film western, ma quando la Paramount gli disse che gli avrebbe dato un budget altissimo e la possibilità di assoldare Henry Fonda, il suo attore preferito che aveva già ammirato nei film di John Ford e Sidney Lumet, dovette capitolare per forza. Per la sceneggiatura, Leone scelse personalmente come suoi collaboratori Bernardo Bertolucci e Dario Argento con l’intento principale di raccontare la strada verso il progresso e l’apertura al futuro attraverso la storia di Frank, Cheyenne, Morton e Armonica, eroi solitari simbolo di avidità, vendetta, violenza, tutti elementi che dovranno cedere il passo ad un sentiero già tracciato, ultimi baluardi di un’epoca ormai giunta al tramonto. L’unica ad essere proiettata in avanti sembra proprio Jill e ce ne accorgeremo chiaramente proprio nel finale.

Il più grande western di sempre

Per mettere su, tassello dopo tassello, quello che è stato definito da moltissimi critici specializzati come “Il più grande western di sempre”, Leone si circondò di numeri uno, a partire dal cast. Dopo il rifiuto di Clint Eastwood, suo attore feticcio e il “si” agognato da parte di Fonda, il regista romano assoldò Charles Bronson, la bellissima Claudia Cardinale, Jason Robards e gli italiani Gabriele Ferzetti e Paolo Stoppa, strepitosamente amalgamati e perfettamente capaci di portare sullo schermo una recitazione fatta di grandi primi piani, lunghi sguardi e silenzi intervallati da panoramiche mozzafiato, pochi dialoghi ma sferzanti e fatti di frasi ad effetto e la tensione tipica che contraddistingue i più grandi film del genere. Tutto ciò, naturalmente, è tenuto insieme dall’impalcatura inossidabile formata dall’impareggiabile fotografia di Tonino Delli Colli, dal montaggio magistrale di Nino Baragli, dalle scene e dai costumi di Carlo Simi e dalle indimenticabili musiche del grande maestro Ennio Morricone, che aveva già lavorato con Leone in “Per un pugno di dollari”, “Per qualche dollaro in più, “Il buono, il brutto e il cattivo”, “Giù la testa” e lo farà ancora in “C’era una volta in America”.

Un solo David di Donatello e l'indifferenza dell'Academy

Eppure, inizialmente, negli Stati Uniti il film non ebbe lo stesso successo della precedente “trilogia del dollaro” e fu anche tagliato, portandolo – in maniera quasi “sacrilega” – da 165 minuti a 145. Fortunatamente, col tempo sarà rivalutato e considerato come fonte d’ispirazione di altri grandi cineasti come Quentin Tarantino, Martin Scorsese, John Carpenter e George Lucas. Purtroppo, però, non arrivarono molti premi. L’unico è stato un David di Donatello come Miglior produttore a Bino Cicogna e una nomination ai Nastri D’Argento a Gabriele Ferzetti come Miglior attore non protagonista, ma tutto ciò rientra nella top ten dei più clamorosi errori commessi dall’Academy.

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