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60 anni fa usciva La dolce vita, eterno capolavoro di Federico Fellini

Il 3 febbraio 1960 si teneva la première romana del celeberrimo film di Federico Fellini, con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg. Attraverso il personaggio di Marcello Rubini, giornalista di servizi scandalistici che sogna di diventare scrittore di romanzi, ma intanto vive la sua “dolce vita” fatta di contrasti, tragedie e amori fatui, in perenne bilico tra perdizione e redenzione. Un cult che vinse l’Oscar ai Migliori costumi, la Palma d’oro a Cannes e una valanga di altri premi.
A cura di Ciro Brandi
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Il 3 febbraio 1960 si teneva a Roma la première di uno dei film più celebri della storia del cinema italiana e internazionale: La dolce vita, di Federico Fellini. La pellicola, per quei pochi che ancora non la conoscessero, è divisa in sette episodi e ha come protagonista principale Marcello Rubini (Marcello Mastroianni), un giornalista che si occupa principalmente di servizi scandalistici ma coltiva sempre il sogno di diventare un grande scrittore. Imprigionato in una relazione con la rassegnata Emma (Yvonne Furneaux), all’inizio, lo vediamo assieme al suo fotoreporter Paparazzo sorvolare Roma in elicottero accanto ad un altro velivolo che sta trasportando una statua di Cristo fino al Vaticano. I due, però, passando sopra una terrazza tentando di abbordare alcune ragazze. In seguito, ritroviamo Marcello in un ristorante orientale intento a scattare foto ad una famiglia reale. Quando viene cacciato, incontra un bella donna, Maddalena (Anouk Aimée) e dopo essere andato via con lei, abbordano una prostituta e la accompagnano a casa, dove i due fanno l’amore. Dopo l’ennesima notte da sola, Emma tenterà il suicidio ma si salverà. Successivamente, a Marcello viene dato l’incarico di seguire la star del cinema americano Sylvia (Anita Ekberg) e, mentre passeggiano per Roma, la diva s’immerge nella Fontana di Trevi, facendo breccia nel cuore dell’uomo. Quando la riaccompagna in hotel, però, l’uomo viene steso con un pugno dal fidanzato di Sylvia. Tra i suoi amici più cari c’è l’intellettuale Steiner (Alain Cuny), che incontra sempre con piacere e che forse potrà aiutarlo a realizzare il suo sogno di scrivere romanzi. La vita di Marcello andrà avanti così, in un turbine di incontri/scontri col padre, notizie tragiche e altri flirt futili e occasionali.

Fellini e i problemi col produttore Dino De Laurentiis

Come quasi tutti i film di Federico Fellini, anche La dolce vita ha avuto una gestazione lunga e travagliata. Fin dall’inizio, il regista ebbe problemi con il produttore Dino De Laurentiis, che non era d’accordo con lui per questioni di budget (furono costruiti più di 80 set), per la sceneggiatura (definita troppo confusa e “caotica”) e anche per la scelta dei protagonisti principali, poiché il produttore voleva nomi più noti come Paul Newman. In realtà, il rinomato “caos” di Fellini è quello che lo ha reso un genio del cinema mondiale. I suoi maggiori film prendono vita sullo schermo e non sulla carta, sono progetti sempre in divenire, quindi il prodotto finito non trova corrispondenza al 100% con la sceneggiatura iniziale. Le divergenze portarono alla rottura con De Laurentiis che fu sostituito da Angelo Rizzoli e Giuseppe Amato.

La dolce vita di Marcello fatta di contrasti

Dal caos è nato uno dei più grandi capolavori della cinematografia mondiale. Attraverso il personaggio di Marcello Rubini, alter ego di Fellini, il regista costruisce una satira – di quasi tre ore – su larga scala che colpisce e affonda la società di allora, non solo quella romana, e che 60 anni dopo purtroppo ci fa riflettere sul fatti che sia addirittura in condizioni peggiori. Il racconto della vita di Marcello supera la dimensione neorealista ed è fatta interamente di contrasti: lunghi silenzi e feste assordanti, buio e luci accecanti, perdizione e redenzione, fidanzate fedeli e rassegnate e prostitute e lui è l’ago di questa bilancia che non riesce assolutamente a stare in equilibrio. L’unico elemento di “stabilità”, la sua oasi felice sembra essere l’amicizia con Steiner, ma il suo suicidio rappresenta anche la morte del suo sogno di diventare uno scrittore di romanzi, abbandonando “la dolce vita” fatua e perversa che lo circonda. Tutti i personaggi “secondari” fanno parte di una sorta di circo, un girotondo festoso e viziato che nasconde solo sterilità.

Le scene cult, gli incassi e le polemiche

Al di là dei significati e dei simbolismi, La dolce vita passerà anche alla storia per le scene iconiche di Via Veneto (ricostruita in studio!), alla Fontana di Trevi, dove Anita Ekberg/Sylvia chiama il suo “Marcello, come here!”, senza badare al freddo tagliente; l’incontro con Maddalena in Piazza del Popolo e con Steiner davanti alla Basilica di San Giovanni Bosco. Si tratta di location che fanno da impalcatura ideale alla sceneggiatura scritta da Fellini con Ennio Flaiano e Tullio Pinelli, alla fotografia eccezionale di Otello Martelli e alle indimenticabili musiche di Nino Rota. Eppure, inizialmente anche i produttori erano scettici riguardo il potenziale successo commerciale del film, perché ritenuto troppo complesso per il pubblico. Invece, la pellicola ha incassato globalmente circa 2.2 miliardi di lire ed è ancora al sesto posto dei film italiani più visti di sempre. Come molti cinefili già sapranno, però, la critica specializzata si spaccò in due. C’è chi già lo definiva un capolavoro, uno spartiacque fondamentale nella cinematografia italiana ma anche chi lo accusava di essere apertamente contro la borghesia e l’aristocrazia, troppo scandaloso, audace, effimero e, addirittura Fellini fu definito ateo e traditore. In queste ultime critiche, naturalmente, il Vaticano era in prima linea.

L’Oscar ai Migliori costumi e gli altri premi

Nonostante le difficoltà, e il divieto ai minori di 16 anni, il film vinse l’Oscar ai Migliori costumi (a Piero Gherardi); la Palma d’oro al Festival di Cannes; il David di Donatello alla Migliore regia; 3 Nastri d’argento (Migliore attore protagonista a Marcello Mastroianni, Mgliore scenografia a Piero Gherardi e Miglior soggetti originale) e il New York Film Critics Circle Award come Miglior film in lingua straniera. Nino Rota ottenne anche una candidatura ai Grammy Awards del 1962 per la Migliore colonna sonora.

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