“C’era una volta in America”, il capolavoro inarrivabile di Sergio Leone, compie 35 anni
Il 20 maggio del 1984, “C’era una volta in America”, terzo capitolo della “Trilogia del tempo”, preceduto da “C’era una volta il West”(1968) e “Giù la testa”(1971), diretto da Sergio Leone, veniva presentato, fuori concorso, al 37esimo Festival di Cannes per arrivare poi nelle sale francesi tre giorni dopo. La pellicola ci porta nella New York degli anni ’20, ma intreccerà diversi piani temporali che seguiranno la vita del protagonista, David “Noodles” Aaronson (Robert De Niro), fino al 1968. Proprio negli anni ’20, due ragazzini ebrei, Max (James Woods) e Noodles, iniziano la loro carriera nella malavita con piccoli traffici nel quartiere ebreo. Noodles, innamorato di Deborah (Elizabeth McGovern), finisce in prigione e ne esce durante il proibizionismo. La banda continua a mettere a segno colpi fruttuosi, ma a poco a poco tra Max e Noodles il rapporto si guasterà. Un giorno, Max resta ucciso e Noodles andrà fuori New York per farvi ritorno solo 35 anni dopo, nel 1968, quando riceve un invito dal “misterioso” Senatore Bailey.
La genesi del film e lo spunto dal romanzo “Mano armata”
Il gangster movie più bello di sempre, l’epopea cinematografica più complessa mai vista, il più grande film della storia del cinema. Queste sono tutte affermazioni vere e, in effetti, “C’era una volta in America” è un capolavoro inarrivabile che Sergio Leone aveva in mente già 12/13 anni prima della sua uscita. Infatti, dopo “Giù la testa”(1971), il regista aveva intenzione di girare un gangster movie ambientato in America ma senza avere in testa un plot ben delineato, fino a quando gli capitò tra le mani il romanzo biografico “Mano Armata”(“The Hoods”, 1952), di Harry Grey, un vero gangster vissuto negli anni del Proibizionismo. Da allora, si mise in moto la macchina “creativa” e Leone scrisse la sceneggiatura con Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli e Franco Ferrini, proponendo la pellicola al produttore Arnon Milchan che accettò immediatamente fornendogli un budget molto alto.
Un grande omaggio al grande cinema
Attraverso la storia di Noodles e Max – che dura ben 229 minuti, fino ai 251 della versione estesa – Leone affronta temi a lui carissimi come lo scorrere del tempo, la memoria, l’amicizia, il tradimento, la lealtà, in un arco temporale (e di storia americana) che va dal 1922 al 1968 coperto con una serie complessa di flashback e flashforward che rivelano trame e sotto trame relative a tutti i personaggi. In definitiva, quello di Leone è un ultimo omaggio, un atto d'amore al grande cinema fatto da uno dei suoi più ammirati ed eccelsi esponenti, realizzato con un cast sensazionale capeggiato dal gangster idealista Noodles/De Niro (già vincitore di 2 premi Oscar), coadiuvato dal più irrequieto Max/James Woods e dalle donne Carol/Tuesday Weld, compagna di Woods; Jennifer Connelly ed Elizabeth McGovern, che interpretano, rispettivamente, il ruolo di Deborah da giovane e da adulta. Tutti sono parte attiva della narrazione e nessuno resta nell’ombra in questo che potrebbe essere definito come un film di formazione, un’epopea sulla storia dei gangster americani o, addirittura, una pellicola basata solamente su un sogno del protagonista principale, Noodles, che immerso nei fumi della fabbrica d’oppio dove è solito rifugiarsi, avrebbe immaginato tutta la storia partendo dal suo passato e fantasticando sul suo futuro.
Le musiche di Ennio Morricone, le nomination e gli incassi
Per incorniciare il tutto musicalmente, Leone chiamò il fidato Ennio Morricone, compositore di tutti i suoi western che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. Oltre alle 14 tracce composte dal maestro, nel film ci sono anche altri pezzi storici come “Yesterday”, di Paul McCartney; un brano tratto da “La gazza ladra”, di Gioachino Rossini; “God Bless America”, di Irving Berlin; “Amapola” di Joseph LaCalle; “Summertime” di George Gershwin e “Night and Day”, del grande Cole Porter. Nonostante tutti gli ingredienti appena citati, inizialmente, il pubblico non sembrò gradire la pellicola e, infatti, gli incassi non furono affatto esaltanti soprattutto negli Stati Uniti, dove si fermò a 5.3 milioni di dollari, a fronte di un budget di 30. Le cose andarono decisamente meglio in Europa, in maggior parte in Francia, Italia e Germania. Anche l’Academy snobbò il film che, infatti, fu candidato solo a due Golden Globe (Miglior regia e Miglior colonna sonora) ma riuscì a vincere 2 BAFTA (Migliori costumi e Miglior colonna sonora) e 4 Nastri d’argento (Regista del Miglior film, Migliore fotografia, Migliore scenografia e Miglior colonna sonora).