Che fine ha fatto Osama Bin Laden? Morgan Spurlock prova a rispondere
Il documentario non è più quello di una volta e ce lo ha insegnato Sabina Guzzanti col suo Draquila: sempre più vicino all’inchiesta giornalistica d’assalto che al reportage, il genere è divenuto vero e proprio mezzo di narrazione e costruzione cinematografica (come dimostra anche il bellissimo Le quattro volte di Frammartino), prodotto scritto e pensato, opera di condivisione di generi codificati. Tra i suoi epigoni uno dei più fortunati è Morgan Spurlock, giunto al successo mondiale con Super Size Me, che qui cerca di rincarare la dose, provando addirittura la caccia a Bin Laden (che nella realtà genera clamorose gaffes anche all'FBI). Ma il risultato gira continuamente su se stesso. Visto che la moglie sta per partorire, Morgan deve trovare un modo per rendere sicuro il suo paese e, stando a quanto dice il Presidente, l’unico è catturare Bin Laden. Si addestra e parte alla cattura, conoscendo nel frattempo anche la realtà del Medio Oriente e dell’Asia montuosa.
Scritto da Spurlock e Jeremy Chilnick, il film parte come uno spettacolo satirico in forma di film, che quasi mette a freno gli intenti documentari per poi approdare ad un impianto più classico fatto di interviste e riflessioni, che però non riesce quasi mai a mordere il reale.
Una sorta di reality film in cui il curioso spunto di partenza, così ricco di disegni, invenzioni grafiche, brio umoristico e amenità è messo da parte per un viaggio ripetitivo e non troppo illuminante, in cui le parole e le tesi girano a vuoto, finendo in un nulla di fatto prevedibile e sporcato dal filo narrativo della gravidanza. Vero limite e problema del film di Spurlock è la costruzione che non sa tenere il ritmo e che non scava mai nei fatti, limitandosi a opinioni e dati presi per buoni, ovvietà che diventano realtà; anche la realizzazione perde la forza del predecessore e si limita a una correttezza quasi seriosa, spenta, accesa qua e là da uno humour che non condividiamo. Lo stesso Spurlock non si mette in gioco in prima persona come vorrebbe il progetto: forse non aveva molto da dire sull’argomento, o forse le sue riprese si sono arenate, ma non abbiamo visto nessuno puntargli alla testa un’arma per fargli girare il film.
Emanuele Rauco